Sindrome di Costen: sintomi ed esami da svolgere
PUBBLICATO IL 06 MAGGIO 2022
Con il termine sindrome di Costen si indica un quadro clinico caratterizzato da un insieme di segni e sintomi dolorosi primari, come il dolore e la difficoltà a parlare e masticare, e secondari, tra cui cefalea muscolo-tensiva, cervicalgia, acufeni, vertigini, derivanti da una disfunzione delle articolazioni temporo-mandibolari o dei muscoli masticatori o di entrambi.
“Il nome di questa sindrome - spiega il Dott. Flavio Nervi, specialista in Ortognatodonzia e funzione masticatoria dell’Istituto Clinico San Rocco - lo si deve a Costen, medico otorino americano che per primo, nel 1934, ebbe l’intuizione di associare il problema dell’acufene e dell’otalgia a quello della patologia dell’articolazione temporo-mandibolare”.
Oggi la comunità scientifica identifica questa problematica con l’acronimo DTM (disfunzioni temporo-mandibolare) o DCM (disfunzioni cranio-mandibolare) visto che negli anni, a seconda dei vari autori, ha assunto più definizioni.
Come si presenta la sindrome di Costen
“Il quadro clinico - continua lo specialista - è caratterizzato da disturbi di tipo algico e disfunzionale che colpiscono le articolazioni temporo-mandibolari e/o i muscoli masticatori, causando alla persona che ne è affetta difficoltà alla masticazione, alla fonazione e alla deglutizione.
Un campanello d’allarme a cui prestare attenzione sono i rumori articolari, in alcuni casi ‘ingombranti’ anche da un punto di vista psicologico. La presenza di parafunzioni, come il bruxismo o l’onicofagia, e di abitudini viziate, come la deglutizione atipica e la respirazione orale, inoltre, aggrava il quadro clinico di questa sindrome.
Generalmente si manifesta a tutte le età, con maggior prevalenza nella terza e quarta decade di vita, colpendo 3 volte di più le donne rispetto agli uomini”.
I disturbi della sindrome di Costen
“Al quadro clinico classico della sindrome di Costen - puntualizza lo gnatologo - va aggiunta anche la possibilità d’insorgenza di un insieme di disturbi a carico di:
- orecchio: otalgie, acufeni, ronzii, baroipoacusia, vertigine;
- collo: cervicalgie;
- testa: cefalee muscolo-tensive;
- postura.
Una dimostrazione ulteriore, quindi, di come spesso il quadro si presenti complesso e variegato nella sua espressione clinica al punto da richiedere allo specialista gnatologo la necessità di ricorrere a competenze extra odontoiatriche, come: l’otorinolaringoiatra, il fisiatra, il neurologo, l’immunologo, lo psichiatra o lo psicologo”.
Gli esami a cui sottoporsi per la diagnosi
La diagnosi è soprattutto clinica anche se spesso è utile ricorrere all’ausilio di esami radiologici. Nella maggior parte dei casi la risonanza magnetica delle articolazioni temporo-mandibolari risulta essere più efficace della Tomografia assiale computerizzata.
Il clinico, però, può valutare anche il ricorso all’esame di tipo kinesiografico o elettromiografico come test aggiuntivo utile alla diagnosi.
La terapia
“La terapia - ha concluso il Dott. Nervi - si avvale di più mezzi che vanno dal counselling all’utilizzo di farmaci, dalla fisioterapia orale alla chirurgia delle articolazioni temporo-mandibolari, sino allo strumento assolutamente più utilizzato: il bite o placca occlusale.
Per la patologia strutturale delle articolazioni temporo-mandibolari, oggi, si è rivelata molto utile l’artrocentesi delle ATM con l’utilizzo dell’acido ialuronico. Si tratta di una tecnica chirurgica che consiste nell’iniettare e nell’aspirare più volte una soluzione nell’articolazione temporomandibolare: una sorta di lavaggio volto al ripristino del suo normale funzionamento.
Per la necessità di terapie occlusali finalizzate a ripristinare il giusto equilibrio morfo-funzionale dell’apparato stomatognatico nel suo insieme, sono ovviamente necessarie adeguate terapie ortodontiche, protesiche e conservative”.