Prevenzione tumore alle ovaie: al Policlinico San Pietro l’ambulatorio per l’indagine genetica
PUBBLICATO IL 07 LUGLIO 2021
I test genetici sono un arma efficace per la diagnosi precoce del tumore alle ovaie e per la sua prevenzione in caso di familiarità. Al Policlinico San Pietro un nuovo ambulatorio dedicato all’indagine genetica
Oltre 50mila donne italiane convivono oggi con un tumore maligno dell’ovaio. Si tratta di un tumore subdolo, di cui non si parla abbastanza. È la malattia neoplastica femminile meno conosciuta, ma anche la più letale dal momento che solo il 39% delle pazienti colpite sopravvive a 5 anni dalla diagnosi.
Secondo i dati dell'Associazione italiana registri tumori, in Italia ogni anno viene diagnosticato un tumore maligno delle ovaie in 1 donna su 75. Attualmente non esistono programmi di screening per la prevenzione di questa patologia, come quelli per il tumore al seno, al collo dell’utero o al colon retto.
Oggi però abbiamo a disposizione nuovi test genetici capaci di rilevare alcune mutazioni eredo-familiari che espongono la donna ad un rischio aumentato di insorgenza del tumore ovarico. L’indagine genetica consente di:
- intraprendere percorsi clinici per anticipare la diagnosi;
- stabilire le cure più adatte, quando ancora il tumore non si è manifestato o si trova in uno stadio iniziale.
Si tratta di un’arma di prevenzione importante per donne sane a rischio di malattia con una storia familiare caratterizzata da uno o più casi di tumore della mammella o dell'ovaio.
Proprio dall’esigenza di offrire un servizio di consulenza ginecologica rivolto alle donne con rischio aumentato di sviluppare tumori a carico dell’ovaio è nato il nuovo ambulatorio di prevenzione genetica dei tumori femminili del Policlinico San Pietro, coordinato dal dottor Luigi Frigerio, consulente dell’Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia del Policlinico San Pietro.
Il tumore all’ovaio in Italia: i numeri
“Nel nostro Paese si registrano circa 5.200 nuovi casi di tumori maligni, anche detti neoplasie, dell’ovaio ogni anno - spiega la dottoressa Rosaschino, responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia del Policlinico San Pietro -. Si tratta di una malattia frequente nel post menopausa, con un'età media alla diagnosi che si aggira intorno ai 60 anni. Nel 10% dei casi però può interessare anche donne in età fertile, prima dei 40 anni.
La maggior parte delle volte, questo tipo di tumore viene diagnosticato allo stadio III o IV, in fase già avanzata e le possibilità di cura sono ormai ridotte”.
Familiarità ed ereditarietà
“Nella popolazione femminile la probabilità di sviluppare un carcinoma ovarico è pari all’1,8 % nel corso della vita, ma questa percentuale sale considerevolmente in presenza di 2 fattori di rischio:
- la familiarità;
- l’ereditarietà genetica.
Il rischio di ammalarsi di tumore all’ovaio infatti aumenta di almeno 3 volte quando nella stessa famiglia (materna o paterna) ci sono parenti di primo grado (mamma, sorella o figlia) che si sono ammalate di tumore all’ovaio.
Il numero delle probabilità cresce anche perché le persone dello stesso nucleo familiare possono essere portatrici di una mutazione genetica, conosciuta o ancora ignota, che predispone al tumore dell’ovaio”.
Le mutazioni genetiche responsabili del tumore ovarico
“I principali geni responsabili dell’insorgenza del tumore ovarico o carcinoma ovarico ereditario sono:
- il BRCA1;
- il BRCA2.
Questi geni sono noti anche come ‘mutazioni Jolie’ dal nome dell’attrice che ha reso pubblica la sua storia familiare. Le mutazioni di questi geni possono essere trasmessi da entrambi i genitori, sia ai figli maschi, sia alle femmine e ogni figlio ha una probabilità del 50% di ereditare la mutazione.
In presenza di questa condizione, il rischio di contrarre il tumore dell’ovaio aumenta fino a 50 volte, la malattia tende inoltre a presentarsi in età più giovanile e in forme più aggressive. Inoltre le mutazioni di questi geni fanno crescere le probabilità che si manifestino anche altri tipi tumori, in particolare al seno”, chiarisce la specialista.
Altri fattori di rischio
“Oltre alla predisposizione genetica, il rischio d’insorgenza del tumore all’ovaio sembrerebbe aumentare anche in presenza di altri fattori. Questo tipo di neoplasia sarebbe infatti più frequente nelle donne che:
- non hanno mai avuto una gravidanza o che soffrono di sterilità;
- nelle donne con una comparsa precoce del primo ciclo mestruale o che hanno manifestato una menopausa tardiva.
Questo aumento dei rischi potrebbe essere spiegato con l’ipotesi dell’ovulazione incessante che determina una infiammazione ripetuta sulla superficie dell’ovaio.
Il numero delle gravidanze e dei parti, l’allattamento prolungato al seno e l’impiego della pillola, riducendo il numero totale di ovulazioni nel corso della vita, promuoverebbero invece un effetto protettivo verso il cancro dell’ovaio. Più lungo è stato il tempo di sospensione dell’ovulazione e più basso sembrerebbe essere quindi il rischio di sviluppare un tumore ovarico.
Ci sono anche alcuni fattori ambientali che vengono associati a un maggior rischio d’insorgenza del tumore dell’ovaio e comprendono:
- l’esposizione all’asbesto, ovvero all’amianto;
- l’esposizione al talco.
Anche l’abuso di alcol e una dieta ricca di grassi sembrerebbero incidere sull’insorgenza della malattia. Infine, sebbene l’obesità sia un chiaro fattore di rischio per altri tumori ginecologici e per il tumore della mammella, la relazione con il tumore dell’ovaio non è stata ancora chiaramente dimostrata”, continua ancora.
I sintomi
“ll tumore dell'ovaio è una malattia subdola e l’assenza di sintomi precisi è uno dei problemi che rendono difficile la prevenzione e la diagnosi precoce - spiega la dott.ssa Rosachino - .
La sintomatologia più frequente è:
- il dolore al basso ventre;
- il gonfiore;
- la presenza di lievi perdite ematiche;
- le difficoltà digestive, come senso di pienezza allo stomaco anche dopo un pasto leggero e nausea, che spesso vengono attribuite a disturbi generici dell’apparato gastrointestinale.
Sintomi meno comuni sono invece:
- mal di schiena;
- mancanza di appetito;
- necessità di urinare più frequentemente;
- diarrea;
- stitichezza”.
Le cure
“Rappresentano lo standard terapeutico del carcinoma ovarico:
- la chirurgia;
- la chemioterapia a base di platino”.
L’intervento chirurgico
Per quanto riguarda il trattamento chirurgico, questo viene differenziato in base alla fase di evoluzione della malattia.
Nei casi in cui non sia possibile eseguire una chirurgia ottimale in prima istanza, l’intervento di asportazione completa della malattia può essere eseguito in un secondo momento, dopo l’inizio del trattamento chemioterapico.
L’obiettivo è quello di limitare la diffusione della malattia, riducendo il rischio di complicanze operatorie, a parità di risultati terapeutici.
Questo tipo di approccio ha permesso di raggiungere una sopravvivenza globale a 5 anni delle donne con tumori epiteliali maligni dell’ovaio intorno al 50%. Se il tumore è confinato all’ovaio, poi la sopravvivenza a 5 anni raggiunge il 90%, mentre scende al 35% negli stadi avanzati.
I farmaci
“Inoltre, l’introduzione di nuove classi di medicinali, in particolare i parp inibitori e i farmaci anti-angiogenetici, consente oggi di migliorare le condizioni delle donne, determinando un netto miglioramento della sopravvivenza anche in pazienti con malattia avanzata”, continua la specialista.
Il test genetico: la strategia di prevenzione oggi disponibile
“Di fondamentale importanza, non solo per programmare la terapia più adeguata per la donna colpita da malattia, ma anche come unica strategia di prevenzione oggi disponibile per le parenti di primo grado, è il test genetico.
Questa indagine consiste nel prelievo di sangue per:
- eseguire lo studio del DNA sul campione prelevato;
- verificare la presenza di mutazioni del gene BRCA1 e del BRCA2.
Considerando che per il tumore dell’ovaio non esistono oggi metodiche di screening e di prevenzione efficaci, questo esame assume una grande importanza, perché è lo strumento che può favorire il dimezzamento dei nuovi casi di tumore ovarico nei prossimi dieci anni.
Si stima, infatti, che se il test venisse proposto a tutte le pazienti affette da tumore dell’ovaio, potrebbe favorire una riduzione almeno del 40% dell’incidenza del tumore ovarico. Si tratta di un traguardo importante, considerando l’aggressività biologica della malattia e la difficoltà ad eseguire una diagnosi precoce del tumore.
Ed è proprio con l’obiettivo di facilitare l’accesso alla prevenzione e alla diagnosi precoce dei tumori femminili nei soggetti a rischio per neoplasie eredo-familiari che è nato il nuovo ambulatorio di ‘Prevenzione genetica dei tumori femminili’ del Policlinico San Pietro”, spiega ancora la ginecologa.
L’ambulatorio di prevenzione genetica dei tumori femminili del Policlinico San Pietro
“L’ambulatorio di ‘Prevenzione genetica dei tumori femminili’ presso il Policlinico San Pietro offre un servizio di consulenza ginecologica con l’obiettivo di:
- promuovere la corretta informazione sulle strategie di prevenzione e sulle nuove possibilità terapeutiche che consentono di migliorare la qualità della vita delle pazienti;
- facilitare l’accesso alla diagnosi precoce nell’ambito dei tumori femminili alla luce delle nuove conoscenze onco-genetiche nelle donne a rischio per neoplasie eredo-familiari.
L’equipe di professionisti dell’ambulatorio permette innanzitutto di eseguire il test genetico alle donne con malattia dell’ovaio o della mammella, così da offrire soluzioni terapeutiche decisive e fornire inoltre informazioni rilevanti anche per il contesto familiare.
Infatti, qualora il test dimostrasse una mutazione sfavorevole del gene BRCA1/2, l’equipe suggerirà di estendere lo screening anche ad altre parenti di sesso femminile interessate al percorso di prevenzione”, spiega la dottoressa Rosaschino.
“Si tratta quindi di uno spazio ambulatoriale dedicato a donne sane con accertata familiarità per la patologia ovarica o mammaria e interessate ad una profilassi chirurgica mini-invasiva dei tumori dell’ovaio, della mammella e dell’utero”, chiarisce il dottor Frigerio, coordinatore dell’ambulatorio.
“Oltre allo studio dei geni BRCA1/2, gli specialisti dell’ambulatorio si occupano inoltre di ampliare il pannello d’analisi, indagando anche il profilo genetico per riconoscere la tendenza a sviluppare altre neoplasie come i tumori a carico del corpo dell’utero”, spiega il dottor Beretta, responsabile della Medicina di Laboratorio.
“Questo approccio consente di personalizzare i percorsi di prevenzione a favore delle donne e del loro contesto familiare. Un obiettivo di straordinaria importanza, nell’ambito di in un tumore che non consente metodiche di screening, mentre la prevenzione è ancora oggi difficilmente attuabile”.