La crioconservazione degli ovociti (o social freezing): un’opportunità da conoscere
PUBBLICATO IL 06 MARZO 2025
La crioconservazione degli ovociti, o social freezing, è diventata negli ultimi anni un tema di crescente discussione, alimentato anche dalle voci di personaggi pubblici che ne parlano come di una soluzione per posticipare il sogno della maternità, senza compromettere le possibilità di diventare madri in futuro.
Ma è davvero così? E come funziona esattamente? Lo abbiamo chiesto al dottor Andrea Borini, responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita del Policlinico San Pietro.
La sfida della natalità in Italia
Secondo gli ultimi dati Istat, l'età media della maternità in Italia è salita a 32 anni, un valore che continua ad aumentare rispetto ai 29 anni di circa 30 anni fa. L'indicatore della fertilità è sceso sotto la soglia dei 2 figli per donna, toccando il valore di 1.24 figli nel 2022, con un ulteriore declino rispetto al passato.
Questi numeri, insieme all’innalzamento dell’età media alla nascita del primo figlio, riflettono le difficoltà delle nuove generazioni nel conciliare vita lavorativa, privata e familiare, nonché la crescente incertezza economica che rende difficile fare progetti a lungo termine.
“La crioconservazione degli ovociti potrebbe rappresentare una risposta per chi desidera evitare di compromettere il proprio progetto di maternità, ma deve affrontare i mutati tempi e le difficoltà che caratterizzano il panorama socio-economico attuale”, sottolinea il dottor Borini.
Che cos’è la crioconservazione degli ovociti
“La crioconservazione degli ovociti, conosciuta anche con il termine tecnico di ‘autoconservazione ovocitaria’, consente alle donne di congelare i propri ovociti quando sono ancora ottimali a livello di qualità e quantità, cioè durante una fase fertile della loro vita.
L’obiettivo di questa tecnica è mantenere intatte le potenzialità riproduttive, in attesa di un momento più favorevole per concepire”, spiega lo specialista.
Perché conservare gli ovociti
Le ragioni per cui le donne ricorrono alla crioconservazione sono molteplici: in primo luogo, la difficoltà di trovare un partner con cui realizzare un progetto familiare. Ma vi sono anche motivi legati alla carriera, alla precarietà del lavoro e alla difficoltà di trovare un equilibrio tra vita lavorativa e affettiva.
“Oggi, in un contesto socio-economico che ha visto un progressivo rinvio dell’età di ricerca della maternità, la curva della fertilità femminile, che raggiunge il suo picco tra i 20 e i 30 anni, sembra quasi non ‘adattarsi’ alle tempistiche di vita e sociali.
Non è raro che, quando si decide finalmente di cercare un figlio, la donna si trovi a dover affrontare difficoltà nel concepire, quando si prova a farlo proprio nel momento in cui la fertilità comincia a declinare, in modo marcato, dopo i 35 anni”, continua il dottor Borini, da 30 anni medico della riproduzione.
Gli step per il social freezing: dalla prima visita al al congelamento
Il social freezing è una possibilità diventata concreta in tempi relativamente recenti, nata inizialmente per venire incontro alle esigenze di coloro che rischiavano di perdere la capacità di concepire per ragioni patologiche (oncologiche, in particolare). Oggi, invece, l’accesso alla tecnica è estesa anche a chiunque voglia intraprendere questo cammino.
Il percorso prende avvio con un colloquio con un medico specialista che valuta l’opportunità di procedere a questo tipo di trattamento dopo un’attenta valutazione di alcuni parametri, che permettano di avere il quadro del potenziale riproduttivo della persona che intende crioconservare.
“Esistono alcuni dosaggi ormonali, per esempio, quello dell’ormone AntiMuelleriano, che uniti all’osservazione ecografica permettono di fotografare lo stato dell’apparato riproduttivo femminile e, di conseguenza, di determinare se la strada della crioconservazione sia percorribile e in quali tempi sia più opportuno farlo”, dice ancora lo specialista.
Qualora si decidesse di procedere al social freezing, la donna sarà sottoposta a una stimolazione ovarica, che indurrà la produzione di un numero adeguato di ovociti, seguita dal prelievo ovocitario (il cosiddetto “pick up”), in seguito al quale si procederà alla valutazione degli ovociti.
Quelli che presentano un grado di maturazione adeguato (metafase II) verranno crioconservati in azoto liquido, fino al momento in cui saranno scongelati per essere fecondati.
“Non esiste una ‘garanzia’ di maternità, nemmeno con l’ausilio della crioconservazione - avverte il dottor Borini -. Se da un lato questa tecnica permette di mantenere un potenziale riproduttivo migliore, dall’altro l’età materna avanzata (anche con ovociti congelati) può comportare difficoltà nel portare a termine la gravidanza, oltre al rischio di problematiche genetiche.
Sarebbe quindi comunque importante, qualora si volesse un bimbo, avviare la ricerca appena le condizioni personali, affettive e lavorative, lo consentono; lo preciso perché invece assistiamo a una crescita dell’età media di accesso alle tecniche di PMA, che sta arrivando a sfiorare i 37 anni (secondo l’ultima Relazione al parlamento sull’attuazione della legge 40/04, contro i 35 in Europa) e a un’età media al primo parto in generale che sta arrivando ai 32 anni (era di 3 anni in meno nel 1995), secondo l’Istat, con 1.24 figli per donna (nel 2010 era di 1.44)”.
L’esperienza del Policlinico San Pietro
Negli ultimi anni, sono aumentati i centri che offrono la crioconservazione degli ovociti, con un’incidenza crescente di giovani donne che si rivolgono a questi servizi per preservare la loro fertilità. Le donne, oggi maggiormente consapevoli dell’impatto dell’età sulla possibilità di concepire, vedono nel congelamento degli ovociti un’opportunità per non dover scegliere tra carriera e maternità.
“Nel nostro Centro, ad esempio, la richiesta di crioconservazione nel 2023 è raddoppiata rispetto all’anno precedente. A mio avviso le ragioni sono diverse: facendo informazione in merito all’esistenza della possibilità di crioconservare gli ovociti, stiamo facendo nascere nelle giovani donne alcune consapevolezze.
Prima di tutto, quella relativa al fatto che le chances di gravidanza, purtroppo, diminuiscono con il crescere dell’età e che quindi se posticipano la ricerca del primo (spesso unico) figlio, come sta avvenendo sempre più spesso, è possibile che si scopra di avere problemi a ottenere una gravidanza.
Purtroppo, in termini assoluti, nel nostro Paese i trattamenti di questo genere restano sempre un numero ridotto. Speriamo che l’evoluzione dei numeri di trattamenti di questo tipo per anno sia sintomo di un cambiamento di approccio nei confronti dell’ipotesi di utilizzare questa tecnica come risorsa per il futuro”, conclude il dottor Borini.