
Cardiomiopatie: quando si definiscono complesse e come si curano
PUBBLICATO IL 30 LUGLIO 2025
Le cardiomiopatie sono malattie del muscolo cardiaco che compromettono la capacità del cuore di contrarsi e pompare sangue in modo efficiente. Quando parliamo di cardiomiopatie complesse, ci riferiamo a forme che, per manifestazioni cliniche, gravità, associazione con altre patologie o predisposizione genetica, richiedono una presa in carico altamente specializzata e multidisciplinare del paziente.
Ma cosa si intende esattamente per ‘complesso’? Quali sono le cause, il quadro clinico e le opzioni terapeutiche oggi disponibili? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Marta Barletta e alla dottoressa Jessica Zannoni, cardiologhe esperte di Imaging Cardiovascolare dell’Unità di Cardiologia Interventistica ed Emodinamica diretta dal prof. Francesco Bedogni all’IRCCS Policlinico San Donato, centro di riferimento nazionale e internazionale per la diagnosi e il trattamento avanzato delle cardiomiopatie.
Quali sono le cardiomiopatie complesse?
Con il termine cardiomiopatia si definisce un gruppo eterogeneo di malattie che colpiscono specificamente il muscolo del cuore, ovvero il miocardio, alterandone la struttura, la funzione o entrambi. Le principali forme spiegate brevemente sono:
- cardiomiopatia dilatativa: un cuore dilatato e disfunzionante che pompa poco sangue;
- cardiomiopatia ipertrofica: un cuore con pareti ispessite che talvolta possono ostacolare il flusso di sangue in uscita;
- cardiomiopatia restrittiva: un cuore infiltrato, cioè invaso, da depositi di sostanze che lo irrigidiscono, e ne impediscono un corretto riempimento;
- cardiomiopatia aritmogena: un cuore in cui le cellule del miocardio degenerano e sono rimpiazzate da tessuto adiposo e/o fibrotico con cicatrici che alterano il sistema di conduzione elettrico del cuore, con un alto rischio di sviluppare aritmie;
- cardiomiopatia non compattata: un cuore in cui il miocardio presenta zone assottigliate ed altre ipertrabecolate, come un tessuto spugnoso, con conseguente perdita della forza di contrazione del muscolo cardiaco.
Le caratteristiche delle cardiomiopatia complesse
Una cardiomiopatia si definisce complessa quando:
• è associata ad una predisposizione genetica, come nelle forme ereditarie;
• coinvolge più distretti del cuore, come valvole, sistema di conduzione elettrico e muscolo cardiaco;
• è associata a manifestazioni extracardiache, come nelle malattie neuromuscolari o metaboliche;
• comporta un rischio elevato di aritmie potenzialmente letali, scompenso cardiaco o morte improvvisa;
• richiede un approccio terapeutico avanzato, come impianto di defibrillatore, ablazioni complesse, trapianto cardiaco o terapie genetiche emergenti
“Spesso è proprio l’interazione e la gestione di diversi fattori – genetici, clinici, anatomici – a rendere una cardiomiopatia ‘complessa’. Ed è in questi casi che serve un centro altamente specializzato come il nostro”, spiega la dottoressa Barletta.
Le possibili forme: genetica, acquisita e secondaria
Le cause delle cardiomiopatie complesse sono molteplici: circa il 30–50% di tutte le cardiomiopatie ha una base genetica riconoscibile. Di questa fetta, la maggior parte (oltre l’80–90%) seguono un modello di ereditarietà autosomica dominante.
Questo significa che un solo gene mutato ereditato da un genitore affetto può causare la malattia, anche se con penetranza variabile: non tutti i portatori manifestano la patologia in modo clinicamente evidente.
Altre volte la cardiomiopatia si definisce acquisita, nel caso derivi dall'esposizione del muscolo cardiaco a fattori esterni. Tra le cause più comuni ritroviamo:
- infezioni virali che aggrediscono il miocardio (miocarditi);
- abuso di alcol o sostanze stupefacenti;
- effetti tossici di alcuni farmaci (es. chemioterapici).
Infine, possono esserci forme secondarie a malattie sistemiche:
• malattie neuromuscolari (es. distrofia muscolare di Duchenne);
• sarcoidosi;
• malattie mitocondriali;
• disordini del metabolismo (es. malattia di Fabry).
In tutti questi casi, una diagnosi precoce e precisa è fondamentale per prevenire complicanze potenzialmente fatali.
“Riconoscere precocemente una forma genetica permette non solo di intervenire prima sul paziente, migliorandone la prognosi, ma anche di proteggere i familiari attraverso lo screening mirato”, aggiunge la dottoressa Zannoni.
I sintomi
Le cardiomiopatie complesse possono essere asintomatiche per anni, specialmente nelle forme genetiche. I primi segnali possono emergere solo in età adulta o in situazioni di stress cardiovascolare, come un’infezione o uno sforzo fisico intenso.
Tra i sintomi più comuni:
• affaticamento precoce/ ridotta tolleranza allo sforzo;
• dispnea (fiato corto) a riposo o durante sforzo;
• dolore toracico;
• palpitazioni o perdite di coscienza (sincopi);
• gonfiore degli arti inferiori.
Nei casi più gravi, la malattia può esordire con un quadro di scompenso cardiaco acuto o morte improvvisa, soprattutto nei giovani atleti non diagnosticati.
“L’assenza di sintomi non equivale a un cuore sano: molte diagnosi arrivano troppo tardi proprio perché la malattia resta silente per anni”, sottolinea la dottoressa Barletta.
Come si fa la diagnosi
La diagnosi di una cardiomiopatia complessa richiede l’integrazione di molteplici competenze e tecnologie avanzate. Il percorso diagnostico parte da un’attenta anamnesi familiare e valutazione clinica, seguita da una visita specialistica cardiologica.
Gli esami più utilizzati includono:
• esami ematici di laboratorio;
• ECG ed ecocardiogramma;
• risonanza magnetica cardiaca con mezzo di contrasto;
• Holter ECG dinamico 24-72 ore o monitoraggio a lungo termine, con device sottocutaneo impiantabile (loop recorder);
• test genetici mirati o tramite pannelli per cardiomiopatie ereditarie;
• cateterismo cardiaco e biopsia miocardica, nei casi selezionati.
“L’imaging avanzato e la collaborazione tra diversi specialisti ci consentono diagnosi precise, anche nei casi più difficili”, evidenzia la dottoressa Zannoni.
I trattamenti disponibili
La terapia delle cardiomiopatie complesse dipende dalla forma specifica, dalla gravità e dalle caratteristiche del paziente. L’obiettivo è ridurre i sintomi, migliorare la qualità di vita e prevenire le complicanze più gravi.
Terapia medica
È il primo approccio in tutti i casi di cardiomiopatia, e mira a controllare i sintomi e rallentare la progressione della malattia, riducendo quindi il rischio di eventi gravi come lo scompenso acuto e le aritmie. La scelta del trattamento varia in base alla forma specifica e alla risposta del paziente.
Si utilizzano:
• Beta-bloccanti, ACE-inibitori, sartani, gliflozine, diuretici, anti-aritmici;
• nuovi farmaci come i modulatori della miosina cardiaca (es. il Mavacamten per la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva o il Tafamidis per la amiloidosi cardiaca da transtiretina)
• anticoagulanti in caso di fibrillazione atriale.
Dispositivi impiantabili
In presenza di aritmie gravi o scompenso cardiaco avanzato, l’impianto di dispositivi intracardiaci può cambiare la prognosi del paziente. In particolare distinguiamo:
• pacemaker (PM): il dispositivo invia un impulso elettrico che attiva il tessuto cardiaco in caso di disturbi della conduzione/ generazione del segnale elettrico;
• defibrillatore impiantabile (ICD): il dispositivo monitora il ritmo cardiaco, intervenendo ad interrompere aritmie potenzialmente mortali;
• resincronizzatore cardiaco (CRT): il dispositivo invia un impulso elettrico in punti diversi del cuore, per ottenere una contrazione sincronizzata, e quindi più efficace, delle pareti cardiache.
Procedure interventistiche
Quando la terapia farmacologica non è sufficiente, si ricorre a interventi mirati, spesso eseguiti per via mini-invasiva. L’obiettivo è correggere le alterazioni strutturali o elettriche del cuore e, nei casi più gravi, sostituirne la funzione come in caso di trapianto cardiaco o di impianto di dispositivo meccanico (’cuore artificiale’). Tra le principali procedure disponibili:
• ablazione transcatetere delle aritmie complesse, refrattarie a trattamento medico;
• alcolizzazione del setto interventricolare o miectomia chirurgica nella cardiomiopatia ipertrofica;
• riparazione percutanea di difetti valvati (es. insufficienza mitralica e tricuspidalica), secondari alla disfunzione del cuore determinata dalla cardiomiopatia;
• trapianto cardiaco o impianto di cuore artificiale (LVAD, Left Ventricular Assist Device) nei casi più gravi.
“Oggi la gamma di trattamenti disponibili è molto ampia, e spesso combinata: non esiste una cura unica, ma percorsi terapeutici su misura”, precisa la dottoressa Barletta.
Il ruolo della genetica e del counseling familiare
Uno degli aspetti centrali nella gestione delle cardiomiopatie complesse è lo studio genetico. L’identificazione di una mutazione consente di:
• confermare la diagnosi;
• effettuare uno screening mirato nei familiari;
• avviare un monitoraggio precoce nei soggetti portatori della mutazione che non hanno ancora sviluppato un quadro clinico manifesto;
• stratificare la prognosi dei pazienti, in modo da adeguare gli interventi terapeutici (es. impianto precoce di ICD)
“La genetica è la nostra bussola: ci aiuta a individuare i pazienti a rischio e a impostare il corretto follow-up”, commenta la dottoressa Zannoni.
La presa in carico multidisciplinare al Policlinico San Donato
Le cardiomiopatie complesse non sono mai solo ‘malattie del cuore’. Spesso coinvolgono diversi apparati, pongono sfide psicologiche e richiedono percorsi di cura su misura.
Per questo al Policlinico San Donato ogni paziente viene seguito da un’équipe integrata che comprende:
- Cardiologi clinici;
- Aritmologi;
- Genetisti;
- Radiologi esperti in imaging avanzato;
- Psicologi clinici;
- Infermieri specializzati;
- Case Manager.
Un approccio che garantisce continuità di cura, anche nel lungo periodo, e massima personalizzazione del trattamento.
“La forza del nostro centro è proprio il lavoro di squadra: ogni paziente viene visto da più specialisti e discusso nei meeting multidisciplinari”, spiega la dottoressa Barletta.
Si può vivere con una cardiomiopatia complessa?
Ricevere una diagnosi di cardiomiopatia complessa può generare ansia e incertezza. Tuttavia, grazie ai progressi nella diagnosi precoce e nelle terapie personalizzate, oggi è possibile convivere con queste patologie mantenendo una buona qualità di vita.
Seguire con costanza i controlli, aderire alla terapia prescritta e adottare uno stile di vita sano (dieta equilibrata, attività fisica moderata, astensione da fumo e alcool) sono le chiavi per tenere sotto controllo la malattia e vivere con serenità.
“Il messaggio che vogliamo dare ai pazienti è chiaro: anche con una cardiomiopatia complessa, si può vivere bene e a lungo”, concludono Barletta e Zannoni.