Come riconoscere il prolasso rettale e il trattamento chirurgico

PUBBLICATO IL 19 FEBBRAIO 2024

Il prolasso rettale è una condizione medica invalidante che può compromettere la qualità della vita e il benessere quotidiano di chi ne è affetto. A spiegarci le cause, i sintomi e il trattamento è il prof. Angelo Guttadauro, responsabile dell’Unità Operativa Clinicizzata di Chirurgia Generale, sede del Centro per la cura delle patologie Proctologiche e del Pavimento Pelvico presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza.

 

Cos'è il prolasso rettale

“Con il termine prolasso rettale si intende lo scivolamento dell’ultimo tratto dell’intestino verso l’ano, questo accade quando la parete dell’intestino scivola come un cannocchiale dentro al retto” dichiara il prof. Guttadauro.

A seconda del grado di scivolamento e della gravità del prolasso si parlerà di:

  • prolasso interno: il retto si invagina in sé stesso, ma non fuoriesce attraverso l'apertura anale;
  • prolasso rettale completo: la parete rettale fuoriesce completamente dall’ano fino a 10 cm e più.  

 

Quali sono le cause

“Il prolasso del retto è una patologia molto frequente nelle donne. Ne sono affette circa il 50% sopra i 70 anni e con l’aumentare dell’età si può arrivare all’80-90%. Negli uomini, invece, ha una incidenza molto più bassa, intorno al 10%. 

Le cause possono essere molteplici:

  • le gravidanze e il parto, che possono causare un indebolimento eccessivo delle strutture legamentose e muscolari del pavimento pelvico e contribuire spesso anche ad una situazione multi compartimentale con prolassi rettali associati a quelli uterini e della vescica (cistocele);
  • l’invecchiamento dei tessuti di sostegno, che con l’avanzare dell’età cedono;
  • la stitichezza, dove uno sforzo eccessivo e ripetuto nel tempo può stressare i muscoli del pavimento pelvico fino al verificarsi del prolasso;
  • fattori genetici, che alcune persone potrebbero avere. 

 

Quali sono i sintomi

Quando si forma il prolasso interno, il paziente manifesta tutti i sintomi legati ad una ostruita defecazione cioè:

  • stitichezza;
  • difficoltà all’espulsione delle feci;
  • defecazioni frazionate o incomplete;
  • sensazione di peso in regione anale;
  • dolore gravativo, disagio nell'area pelvica e/o anale.

“Quando invece il prolasso rettale è completo, alla stipsi si associa e alterna l’incontinenza fecale, una situazione invalidante per il paziente che si può recuperare, nella stragrande maggioranza dei casi nel giro di 6 mesi solo dopo aver eliminato il prolasso ed effettuando cicli di fisioterapia del pavimento pelvico. 

Va specificato, però, che se il prolasso esterno è presente già da molto tempo, l’incontinenza fecale può non essere più curata completamente, in quanto la fuoriuscita prolungata causa uno sfiancamento dei muscoli e una loro denervazione. Per questo è importante agire subito nei casi di prolassi completi”. 

 

La diagnosi

“Nel caso di prolasso interno, è possibile effettuare una diagnosi attraverso: 

  • la defecografia, se si tratta di un uomo; 
  • una colpo-cisto-entero-defecografia, se è una donna. 

Nel prolasso totale, invece, la diagnosi è ben visibile e viene fatta attraverso una semplice visita proctologica”. 

In aggiunta, viene sempre effettuata una colonscopia in modo da escludere prolassi secondari a patologie maggiori, come polipi o tumori dell’intestino che per trazione vanno a invaginare il retto. 

 

Il trattamento chirurgico

Il trattamento del prolasso del retto dipende da:

  • sua entità; 
  • gravità dei sintomi; 
  • condizioni del paziente. 

In presenza di prolassi interni determinati da ostruita defecazione è possibile effettuare l’intervento:

  • per via perineale mediante la tecnica denominata S.T.A.R.R (Stapled Trans Anal Rectal Resection), cioè un intervento di Prolassectomia eseguito per via trans anale con l’ausilio di  suturatrici meccaniche. Questo intervento viene eseguito in anestesia loco-regionale, quindi con paziente sveglio e con una degenza post-operatoria non superiore a 2 giorni;
  • per via addominale laparoscopica mediante l’utilizzo di protesi che stabilizzano il retto e gli organi pelvici nei prolassi multi compartimentali.

Quando, invece, il prolasso è esteriorizzato fuori dall’ano possono essere utilizzati 2 metodi chirurgici in base alla lunghezza del prolasso: 

  • per via perineale:
    • dove viene effettuata una resezione del retto prolassato mediante suturatrice meccanica (Perineal Stapled Prolapse Resection o PSP) usata per prolassi totali inferiori ai 6 cm che permette di trattare il paziente con tempi operatori ridotti, in anestesia loco-regionale e con una breve degenza;
    • dove viene eseguita la resezione secondo il metodo Altemeier, utilizzato nei casi di prolassi esterni più lunghi di 6-7 cm dove oltre al retto è generalmente prolassato anche il tratto di intestino che lo precede, il sigma. Con questa tecnica, anch'essa eseguibile in anestesia loco-regionale, viene portato via tutto il tessuto prolassato, anche quello non completamente esteriorizzato. Qui è prevista una degenza un poco più lunga, di circa 4-5 giorni, tempo in cui si è verificato un buon consolidamento della sutura tra intestino e ano;
  • per via addominale: mediante utilizzo di protesi che stabilizzano il retto prolassato al sacro. Questa metodica viene effettuata in anestesia generale in laparoscopia o laparotomia. 

I benefici del trattamento chirurgico         

L’evoluzione della chirurgia e la disponibilità di nuove tecniche ha oggi permesso interventi chirurgici più rapidi a paziente sveglio con: 

  • una breve degenza ospedaliera e un agevole decorso postoperatorio con l’assenza di ferite esterne; 
  • rapida ripresa delle attività quotidiane, dell’alimentazione e delle evacuazioni

Tutto questo rende gli interventi eseguibili anche su pazienti anziani e/o con altre patologie mediche associate.

Una visita proctologica è quindi indicata già in fase iniziale, ossia alla comparsa dei sintomi da ostruita defecazione o in presenza di stipsi ostinata, perché con un intervento chirurgico in anestesia loco-regionale si può bloccare la malattia all’origine”, conclude il prof. Guttadauro.

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