Riabilitazione neurologica: cos’è e quali obiettivi si pone
PUBBLICATO IL 04 MARZO 2022
La riabilitazione neurologica si rivolge alle persone che hanno subito un ictus cerebrale, una lesione midollare o un grave trauma cranico e a pazienti affetti da malattie neurodegenerative come il Parkinson o la sclerosi multipla. Ha l’obiettivo di accelerare i processi di recupero motorio e cognitivo in persone che lamentano problemi di equilibrio, di forza, di coordinazione, ma anche di memoria, attenzione o linguaggio.
La riabilitazione neurologica è una branca della medicina riabilitativa che mira per quanto possibile, al recupero dei deficit sensori-motori e cognitivi, al contenimento delle relative disabilità, al fine di migliorare la qualità di vita del paziente e il suo reinserimento in famiglia e nella vita sociale.
Come ci spiega il dottor Fabrizio Pisano, responsabile dell’unità operativa di riabilitazione neurologica del Policlinico San Marco, realtà caratterizzata da elevati livelli di professionalità del personale medico, infermieristico e fisioterapico e dall’applicazione dei più recenti ed efficaci protocolli riabilitativi.
Cos’è la riabilitazione neurologica
“La neuroriabilitazione è la disciplina medica che si occupa del recupero funzionale di pazienti che sono affetti da patologie del sistema nervoso centrale e/o periferico - spiega il dottor Pisano - .
I malati che afferiscono alle Unità di neuroriabilitazione hanno subito un importante danno neurologico, come un grave trauma cranico, un ictus cerebrale, una lesione midollare, oppure risultano affetti da processi degenerativi progressivi come il Parkinson o la sclerosi multipla; presentando severe problematiche fisiche, nella maggior parte dei casi improvvise e in pieno benessere, vanno incontro a devastanti ricadute che modificano drammaticamente la qualità di vita propria e dei propri cari. Sono persone che vivono una condizione di gravissimo disagio oltre che fisico anche psicologico e necessitano pertanto di una presa in carico totale”.
Classificazione ICF per la qualità della vita con disabilità
“Per descrivere al meglio il significato di qualità di vita per una persona disabile, sono stati negli ultimi anni richiamati i concetti espressi dall’ ICF, Classificazione Internazionale del Funzionamento, Disabilità e Salute. Lo scopo generale di questa classificazione è quello di fornire un linguaggio standard e unificato che serva da modello di riferimento per la descrizione delle componenti della salute e degli stati ad essa correlati. Da troppo tempo infatti si sentiva l’esigenza di un ‘linguaggio comune’ per descrivere il funzionamento da utilizzare a livello interdisciplinare e internazionale.
L’ICF ha dato il via a un forte cambiamento nella prospettiva: dalla focalizzazione sulla patologia all’analisi delle conseguenze della patologia stessa.
Il passo successivo è stato rappresentato da un cambiamento nello scenario delle politiche socio sanitarie che hanno iniziato a spostare il centro di interesse dalle patologie acute alle malattie croniche (transizione epidemiologica). In definitiva, grazie all’ICF, l’intervento medico riguarda l’intera persona (non solo il corpo) e con l’introduzione del concetto di ‘funzionamento’ umano, il paziente viene valutato in tutte le dimensioni (fisica, psicologica, personale, familiare e sociale)”, spiega il neurologo.
Gli obiettivi della riabilitazione neurologica
“Fatta questa premessa, i diversi interventi neuroriabilitativi hanno lo scopo di:
- prevenire o rallentare ulteriore perdita di funzione nei pazienti con disabilità;
- migliorare o se possibile aiutare nel recupero della funzione;
- compensare la perdita di funzione;
- mantenere la funzione corrente.
In altre parole l’intervento neuroriabilitativo è un processo molto articolato e calibrato sulla funzione residua del soggetto con disabilità”, continua ancora il dottor Pisano.
La plasticità neuronale e la sua applicazione nell’approccio di riabilitazione
“Fino a una ventina di anni fa l’intervento riabilitativo era supportato da pochi report scientifici e si basava essenzialmente su osservazioni empiriche. Con lo sviluppo più recente delle scienze neurofisiologiche e di neuroimaging si è fatto strada il concetto di plasticità neuronale, una delle potenzialità più affascinanti del cervello dei mammiferi, ovvero la sua capacità di adattarsi a nuove situazioni e modificare la propria organizzazione neurale.
Nel caso delle patologie neurologiche, numerosi studi hanno dimostrato che gruppi di neuroni molto prossimi a una lesione situata in aree sensorimotorie siano in grado di sostituirsi progressivamente e sopperire alla funzione delle cellule contigue danneggiate. Questa speciale capacità del nostro cervello è stata quindi sfruttata per cercare di recuperare le funzioni neuromotorie perse a seguito della malattia.
A tal proposito, recenti studi hanno mostrato che un particolare atto motorio può essere effettuato con la stimolazione non di una sola e selettiva area motoria encefalica, ma di molteplici e differenti zone, spesso distanti tra loro parecchi millimetri, dimostrando quindi che movimenti identici possono essere sollecitati da siti multipli non contigui. Questa capacità ha evidenti implicazioni riguardanti l’apprendimento motorio e la riorganizzazione plastica, perché permette un recupero e/o compenso di una funzione motoria conseguente a una lesione”, chiarisce il neurologo.
L’innovazione dei dispositivi robotici
“Una delle strategie riabilitative più recenti per il recupero di un movimento, comprende l’utilizzo dei dispositivi robotici. Il ruolo del paziente in questo caso è ‘centrale’. Al soggetto viene infatti chiesto di eseguire un certo atto motorio. Qualora la persona non sia in grado di ultimare il movimento, interviene il robot che, con una velocità tarata sulle capacità residue del soggetto, porta a compimento la performance.
Evidenze sperimentali hanno dimostrato che l’esercizio fisico frutto di movimenti volontari, che nel trattamento robotico costituiscono elemento fondante, produce risultati estremamente positivi:
- promuove il recupero funzionale dopo lesioni traumatiche del sistema nervoso centrale;
- stimola anche il processo di neurogenesi (formazione di nuovi neuroni), che a sua volta promuove la plasticità.
Accanto alla riabilitazione neuromotoria in senso stretto, laddove necessario, deve essere proposta anche la riabilitazione neurocognitiva”, sottolinea ancora.
La rilevanza della riabilitazione neurocognitiva
“Le funzioni cognitive, aspetti estremamente complessi della natura umana, costituiscono l’insieme dei meccanismi di controllo del nostro cervello, sono rappresentate dai processi di:
- pianificazione;
- organizzazione;
- avvio;
- capacità di risolvere problemi;
- capacità di correggere gli errori;
- orientamento spazio-temporale;
- attenzione;
- memoria.
Sono fondamentali per la sopravvivenza e per la vita sociale di relazione. Basti pensare che ben il 75% dei soggetti che sopravvivono a un ictus lamentano disfunzioni esecutive: quando presenti, i pazienti perdono inevitabilmente la possibilità di riacquisire la propria autonomia nella gestione delle attività di vita quotidiana.
Se ne deduce quanto sia importante la riabilitazione neurocognitiva proposta nelle fasi subacute post-lesionali, al fine di aiutare i malati nel recupero dei processi attentivi, di memoria e delle funzioni esecutive.
Gli interventi devono essere effettuati il più precocemente possibile sfruttando il periodo in cui il cervello, subito dopo il danno, rilascia fisiologicamente in circolo ormoni che promuovono la neurogenesi.
Riuscire a migliorare le disfunzioni esecutive pone i pazienti in grado di aderire maggiormente al trattamento riabilitativo con conseguenti migliori risultati. Le strategie di applicazione del training cognitivo delle funzioni esecutive sono molteplici nella pratica clinica: analogamente a quanto avviene per la riabilitazione neuromotoria, sono necessari studi randomizzati controllati su ampie casistiche di pazienti per individuare le tecniche più appropriate”, spiega il dottor Pisano.
Il team di professionisti neuroriabilitativi
“All’interno dell’équipe interdisciplinare che ogni struttura riabilitativa di qualità dovrebbe esprimere, vanno considerati un insieme di specialisti con diverse competenze. Tra questi:
- medici responsabili del progetto riabilitativo:neurologo, fisiatra, geriatra, internista;
- una rosa di consulenti: cardiologi, nefrologi, gastroenterologi, pneumologi, intensivisti;
- neuropsicologi, a cui viene affidato il complesso compito del training neurocognitivo;
- fisioterapisti, che attuano quotidianamente, 6 giorni su 7, il programma riabilitativo;
- i terapisti occupazionali, i quali insegnano strategie per aiutare i pazienti a gestire il rientro al lavoro o a domicilio;
- logopedisti, che valutano e trattano i disturbi della deglutizione e del linguaggio, problemi estremamente frequenti nei pazienti neurologici;
- dietisti, che aiutano a migliorare il regime nutrizionale e quindi l’apporto calorico;
- infermieri.
Questi ultimi sono professionisti di rilevanza estrema nel percorso riabilitativo”, continua ancora l’esperto.
Il ruolo chiave degli infermieri
“Gli infermieri accompagnano il paziente per tutta la durata del processo di recupero: è questo forse il compito più delicato, quando la fragilità psicologica dovuta all’improvviso evento traumatico, pone il paziente in uno stato di grave prostrazione psico-fisica, se non di severa depressione reattiva.
È proprio qui che l’infermiere deve contribuire al miglioramento della prognosi riabilitativa con un valore aggiunto, andando fin dall’inizio ad abbinare alla propria professionalità nello svolgimento delle procedure sanitarie, un costante atteggiamento di umana comprensione per le gravi difficoltà fisiche in cui si è improvvisamente ritrovato il paziente.
Il saper accudire con un sorriso il malato, dimostrargli di comprenderne i bisogni, accompagnare con un gesto affettuoso la somministrazione di un farmaco, sono comportamenti per nulla scontati e che andrebbero fortemente incoraggiati, poiché in grado di fare la differenza soprattutto nelle prime fasi del percorso riabilitativo, quelle più critiche”, conclude lo specialista.