Cause e rimedi per il retropiede valgo

PUBBLICATO IL 13 APRILE 2022

Per retropiede valgo si intende un assetto patologico del piede che, nella parte posteriore, cade verso l’interno. Si parla di valgismo, perché il piede appoggia in maniera importante sul suo interno e ciò comporta uno scompenso sia nella fase di appoggio statico sia, soprattutto, nella fase propulsiva, cioè durante la deambulazione. Diverse sono le cause che determinano questo tipo di patologia, così come diversi sono i trattamenti a cui ricorrere. 

Ce ne parla il dottor Fabio Verdoni, responsabile dell’Unità Operativa di Ortopedia Pediatrica all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi.

 

Le cause

Introduce il chirurgo: “Solitamente le cause che portano all’insorgenza di un retropiede valgo sono di 3 tipi :

  • congenite: sono presenti dalla nascita e sono quindi fisiologiche del soggetto;
  • post traumatiche rare;
  • secondarie a situazioni di tipo neurologico”. 

Le cause post traumatiche rare

“Le cause post traumatiche si verificano a seguito di eventi fratturativi che coinvolgono la parte distale della tibia, cioè la parte più prossima alla caviglia. La frattura ed i suoi esiti vanno sempre valutati da uno specialista”. 

Le cause secondarie a situazioni di tipo neurologico

“I fattori neurologici sono soprattutto legati a una lassità della componente muscolare. In questi casi, la muscolatura non è adeguatamente forte per sorreggere il retropiede provocando uno scompenso verso l’interno dell’appoggio plantare”, completa lo specialista. 

 

I sintomi

“Se isolato, questo scompenso può determinare un dolore legato alla deambulazione, perché il carico durante il movimento non viene distribuito in maniera corretta sul piede ricadendo esageratamente verso l’interno dello stesso - continua il medico - . 

Questo provoca una sintomatologia dolorosa legata al valgismo delle ginocchia, ovvero a uno scompenso verso l’esterno con un maggiore carico all’interno che, a sua volta, può determinare un sovraccarico dell’articolazione con lesioni della cartilagine”. 

 

Come si diagnostica il retropiede valgo nei bambini

La diagnosi del retropiede valgo viene effettuata dopo l’anno di età. Non dimentichiamo che questa patologia si manifesta in maniera definitiva in età post adolescenziale mentre le conseguenze a distanza nel tempo si verificano nell’adulto, a processo di crescita terminato (dai 18 anni in su).

Nel bambino appena nato quel che si osserva inizialmente è un’eccessiva lassità, cioè un’eccessiva elasticità del retropiede che può anticipare quella che sarà nel tempo l’evoluzione verso un valgismo del retropiede - prosegue il medico -. 

Per valgismo del retropiede si intende quindi un anomalo orientamento anatomico del calcagno che va verso l'interno e che si può constatare osservando il piede posteriormente”. 

Il valgismo interessa in particolare due ossa, l'astragalo (che si trova all'interno del piede) e il calcagno, e spesso si associa a una pronazione del piede, cioè ai cosiddetti piedipiatti (piattismo). Questo vuol dire che il piede non ha un’arcata plantare adeguata e il retropiede, perciò, si scompensa verso l’interno.

“Lo specialista, quindi, procederà con una diagnosi clinica che verrà supportata e confermata da un esame radiografico in carico, cioè con l’appoggio del peso, che permetterà di verificare in maniera corretta l’assetto del piede stesso per escludere eventuali anomalie di tipo scheletrico”, sottolinea l’esperto .

 

Le conseguenze nel tempo del retropiede valgo

“Nel tempo - aggiunge il medico - non sarà raro riscontrare in pazienti con il piede valgo un appoggio pesante nella deambulazione: questa infatti non sarà né fluida, né dinamica, perché perderà di forza nella fase di spinta. Inoltre, aumentando il carico verso l’interno, sarà possibile sviluppare complicanze secondarie come valgismo dell’alluce, valgismo del ginocchio e un importante carico sull’articolazione dell’anca”.

 

Il trattamento conservativo del retropiede valgo

Prima di tutto, la terapia da prendere in considerazione per un valgismo del retropiede è quella che implica la correggibilità attiva. Questa prevede che il soggetto cammini in punta di piedi andando a osservare se, attraverso la tensione che viene stimolata sul piede e sulla caviglia da questo appoggio in avanti, si verificherà o meno la possibilità di correggere questa deformità. 

I rimedi: esercizi e plantari

“Nel bambino, ad esempio, una terapia riabilitativa può avere un’indicazione utile, in associazione a una correzione secondaria di tipo ortesico, cioè con plantari, oppure chirurgico - continua il dott. Verdoni -.

Per quanto riguarda il primo caso, il bambino dovrà sottoporsi a esercizi propriocettivi: la propriocettività è quel meccanismo centrale che comporta uno stimolo della muscolatura a correggere ciò che è in tensione e quindi, secondariamente, a correggere la deformità del piede. 

Nel caso della correzione secondaria, i plantari sono utili senz’altro per:

  • evitare un sovraccarico a carico del ginocchio o dell’articolazione dell’anca;
  • in parte per alleviare la sintomatologia dolorosa. 

L’ideale sarebbe un plantare ortopedico su misura volto a sorreggere la parte mediale del piede, con una spinta del retropiede in inversione (cioè spinta del retropiede verso l'interno): a questo proposito, sono molto utilizzati dei plantari elicoidali che hanno una doppia spinta, all’interno dell’arcata plantare e posteriormente a livello del calcagno”. 

 

L’intervento 

“Quando si ricorre alla chirurgia, è importante sapere che sarà definitiva. Più il retropiede valgo si associa a una pronazione del piede, più si rende necessario un intervento di artrorisi, cioè una correzione con vite metallica a livello del seno del tarso, cioè quella struttura anatomica che si viene a costituire (è un tunnel tra astragalo e calcagno) - conclude Verdoni -.

Questa procedura garantisce risultati brillanti sin tanto che la crescita non è giunta al termine, per questo è essenziale porre un limite di età e 3-4 numeri prima della massima lunghezza del piede. Al contrario, una correzione del retropiede valgo con una tecnica mininvasiva di artrorisi, se eseguita al termine della crescita, potrebbe esitare in un insuccesso con un irrigidimento dell’articolazione. 

Quando, invece, subentrano fenomeni di artrosi legati a un sovraccarico articolare, gli interventi sono ben più invasivi. Questi consistono principalmente in artrodesi, cioè una correzione della deformità a scapito della funzionalità dell’articolazione attraverso una fusione della stessa: pur raggiungendo l’obiettivo di correzione definitiva dell’assetto del piede, però si verifica anche la perdita di una parte della meccanica dell’articolazione del piede, per questo è necessario riuscire a intervenire prima che si arrivi a questo tipo di correzione”.

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