Covid e sindrome della capanna: come affrontarla
PUBBLICATO IL 05 OTTOBRE 2020
La paura di uscire di casa, della nuova normalità è un contraccolpo della pandemia che ha colpito diverse persone. I consigli dell’esperto per superarla.
Lo spauracchio del Covid-19, che ci ha traumatizzato ad inizio anno, continua ad incuterci timore e pare non darci tregua. Se molte persone sono riuscite gradualmente a ritornare ad una presunta normalità, molte altre hanno faticato più del previsto. In alcuni casi hanno sviluppato una vera e propria sindrome che prende il nome di sindrome della capanna e che rappresenta il contraccolpo psicologico delle esperienze dei mesi scorsi.
Scopriamo come si manifesta, quali sono le cause che la scatenano e i consigli dell’esperto per affrontarla.
Che cos’è
L’effetto collaterale più evidente conseguente al lockdown per molti, anche tra coloro che non avevano mai sofferto prima di disturbi psicologici particolari, è stata la cosiddetta sindrome della capanna o del prigioniero, ossia la paura di uscire e lasciare la propria casa, il luogo che per mesi ci ha fatto sentire al sicuro, al riparo da qualsiasi pericoloso agente esterno.
I sintomi
Per diverse ragioni, ma anche a causa di meccanismi del tutto inconsci, ansia, paura e frustrazione hanno preso il sopravvento nello stato d’animo di queste persone che, oltre tutto, hanno manifestato contestualmente anche:
- disturbi del sonno
- depressione
- spiccata tendenza all’irascibilità.
Effetti per certi versi riconducibili a quelli percepiti da chi è stato costretto ad una lunga degenza o da chi, vivendo in zone del mondo dove il freddo invernale impedisce di uscire, è costretto a restare chiuso in casa per mesi e mesi.
Le cause
È bene non sottostimare la gravità di questa sindrome: più tende a cronicizzarsi e maggiore è la probabilità che lasci il segno. Sono molteplici le cause responsabili di un comportamento protettivo come questo, tra cui:
- il terrore verso il mondo esterno
- la paura di ammalarsi
- il timore di contagiare i propri cari
- la convinzione di non ritrovare più il mondo che si conosceva prima.
Le persone più esposte
La diffusione del Covid-19 è stato un evento che, in maniera del tutto trasversale, ha smosso le coscienze di ognuno di noi, oltre ad incutere paura e terrore. Certamente i soggetti più facilmente colpiti sono stati:
- persone con minor capacità di adattamento ai cambiamenti
- persone inclini all’ansia e all’ipocondria (l’eccessiva apprensione del proprio stato di salute)
- persone che soffrivano anche in precedenza di fobie e altri disturbi psichiatrici.
Ma non solo: gli effetti del coronavirus sull’economia e le incertezze professionali che ne sono derivate, hanno intaccato anche le sicurezze di moltissime persone che, pur di non far ritorno ad una realtà più difficile da affrontare, ha preferito propendere per una permanenza sicura tra le mura di casa propria.
Come affrontarla e superarla
Abbiamo chiesto al Dott. Alfonso Piccoli, Responsabile dell’U.O. di Medicina Interna dell’Istituto Clinico San Rocco, internista e psicoterapeuta, qualche consiglio utile al fine di attuare una strategia efficace per un ritorno graduale alla vita di prima: “Alcuni erroneamente attribuiscono il ritorno alle attività lavorative e non pre-Covid a qualcosa di simile al ritorno da un periodo di vacanze o di riposo!
Ed è molto pericoloso attribuire il disagio a qualcosa di nettamente diverso. Quindi ci sono non meglio definiti esperti che ricalcano consigli che rischiano, oltre che peggiorare la sintomatologia, di cronicizzarla. In sintesi per meglio affrontare o meglio dire “fronteggiare” quanto stiamo vivendo sono necessari due percorsi:
- ripensare le paure e le preoccupazioni
- ripensare gli spazi, il modo di lavorare e di affrontare il quotidiano”.
Ripensare le paure e le preoccupazioni
La paura nel corso della storia dell’umanità è servita a prevenire l’estinzione ma, come strumento, si è radicalizzata in quello che chiamiamo istinto di sopravvivenza.
“Se la paura è eccessiva - prosegue il Dott. Piccoli - può rendere vulnerabili. Le reazioni emotive sono comprensibili, ma scaturiscono da valutazioni non sempre realistiche.
La ragione è sopraffatta da una sorta di ‘bugia’ mentale che, invece di renderci consapevoli del reale pericolo (cosa necessaria), ci paralizza il senso critico soprattutto se la minaccia, come in questo caso, è invisibile (e sovraesposta dal massiccio tam tam mediatico!).
Per sentirci protetti bisogna continuare a fare cose realistiche, quelle che abbiamo imparato in questi mesi, come mantenere una distanza di sicurezza dagli altri, lavarsi spesso le mani senza temere di esagerare, limitare i contatti fisici anche tra familiari, utilizzare le mascherine dove indicato e necessario.
Inoltre, un altro atteggiamento proattivo è limitare la sovraesposizione mediatica, anche quella rimane paura invisibile (è paradossale ma sapere di più non corrisponde ad essere più consapevoli: se bastasse questo, non dovremmo allora preoccuparci più ed invece…). Solo in questo modo la frammentazione del pensiero prevalente ci permetterà di evitare la scorciatoia della paura andando invece incontro ad essa affrontandola - aggiunge l’esperto -.
Come dico sempre ai miei paziente ’più che preoccuparci… occupiamoci’: leggere, parlare, cucinare o coltivare i propri hobby, curare le piante, occuparci degli animali domestici, contattare parenti e amici.
La pandemia ci ha fatto riscoprire la forza dell’umanità ‘presente’, quella che non ci fa sentire soli, non perdiamola questa abitudine (scrivere frasi su una chat può essere importante, ma esserci con l’altro ha valore di cura della paura e della preoccupazione stessa).
Quindi ripensiamo alle preoccupazioni (esistono anche alberi decisionali per le preoccupazioni che possono guidare), esercitandosi ad esempio a posticipare la preoccupazione (valore della sospensione) ponendo molta attenzione all’autosuggestione.
Bisogna, inoltre, tornare a parlare con noi stessi con maggior compassione magari annotando le proprie preoccupazioni e rileggendole: con questa modalità, anche usando la respirazione e la meditazione, si pratica la consapevolezza riportando le cose e gli accaduti nel qui e ora, non nel tempo che non possiamo gestire ossia il passato e il futuro irrealistico”.
Ripensare gli spazi, il modo di lavorare e il quotidiano
Per calarci nuovamente nella quotidianità ritrovata è importante un adeguato stile comportamentale come, per esempio, avere un tempo programmato nella giornata per privilegiare un'alimentazione equilibrata e favorire sonno regolare allo scopo di mantenere mente e fisico sufficientemente attivi.
“Rivedere i propri spazi lavorativi - ha aggiunto lo specialista - è un altro aspetto importante:
il timore non è nel collega o nella persona che ci sta davanti, ma è dentro di noi e dobbiamo imparare a gestirlo e non proiettarlo.
Anche in questo caso, rivedere le abitudini rintracciando un percorso realistico su un fare che aiuta a contenere gli spazi del pensiero irrealistico è importante.
Ed, infine, è opportuno imparare a praticare la gratitudine che rappresenta una modalità di auto-aiuto e che può metterci in contatto con momenti di gioia, vitalità e piacere. Chiediamoci cosa ci rende grati oggi? Non ce lo insegna nessuno, ma è uno spazio tutto nostro in cui rifugiarsi tra un momento di tensione e l’altro, un bene prezioso da coltivare e preservare”.
L'aiuto dello specialista
“In conclusione ricordo quanto riportato da uno studio della Boston University School of Public Health (pubblicato da JAMA) che ha evidenziato un aumento significativo del numero di adulti americani con sintomi depressivi dal momento in cui è iniziata l’emergenza sanitaria negli Stati Uniti (dall’8,5% iniziale al 27,8% di metà aprile). Dopo eventi traumatici del genere (Ebola, 11 settembre e altro) la depressione nella popolazione al massimo raddoppiava, nel caso del Covid-19 è persino triplicata.
Quindi il messaggio che voglio dare è sì di stare attenti all’ansia e alla preoccupazione rientrando nella propria normalità, ma di non esitare a rivolgersi a specialisti se, nonostante quanto consigliato in precedenza, i sintomi dovessero perdurare, perché si potrebbe essere in una situazione simile ai sintomi prodotti da stress post-traumatico o, comunque, essere di fronte alla slatentizzazione di qualcosa già preesistente ma latente.
Pochi ricordano che dobbiamo lavorare e prepararci per quello che già viene definito ‘The next normal’, la prossima normalità: bisogna fidarsi degli esperti che sono stati sul campo. Dobbiamo uscire sì dalla capanna, ma consapevoli che questo è possibile con una visione diversa, cambiata, integrata e con una conoscenza che nel tempo è diventata più matura”.