Emergenza COVID-19: cosa aspettarsi dalla Fase 2?
PUBBLICATO IL 24 APRILE 2020
L'uscita dal lockdown, la cosiddetta Fase 2 del piano di contenimento dell’emergenza sanitaria, rappresenta una fase delicata e cruciale. Il commento del virologo Pregliasco su quel che ci attende.
Attualmente, si sta assistendo ad una situazione di riduzione dell’incidenza dei nuovi casi di malattia da nuovo coronavirus, con la speranza che a breve ci sia la possibilità da parte del governo di iniziare quella che viene definita come Fase 2.
Cosa dobbiamo aspettarci? Il ritorno alla normalità sarà immediato?
La parola al professor Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi e virologo presso l’Università degli Studi di Milano.
I rischi della Fase 2
“Anche se si prospetta un lento ritorno alla propria quotidianità, ciò non corrisponde però ad un ‘via libera’ - spiega il professor Fabrizio Pregliasco -. Non è un’autorizzazione a darsi ‘alla pazza gioia’, scorrazzando in giro come se tutto fosse tornato alla normalità, perché non è assolutamente così.
Questa è ua situazione che perdurerà ancora per un po’ di tempo in quanto sappiamo, come è già ben noto nella storia di precedenti pandemie, che potrebbe verificarsi una seconda ondata di contagi, talvolta persino peggiore della prima.
È sì fondamentale una riapertura, ma con grande attenzione e sicuramente con un’azione che dovrà essere compiuta a livello istituzionale dal Sistema Sanitario Nazionale sul territorio relativamente all’individuazione di tutti i nuovi casi.
Ovviamente ciò sarà possibile solo se questi saranno pochi rispetto allo tsunami di contagi che abbiamo subito fino a oggi e che ha impedito la sistematica esecuzione di tamponi.
Qui la decisione è politica: non si arriverà ad un livello zero di contagi, perché ciò richiederebbe un tempo di lockdown (isolamento) molto elevato, secondo i vari modelli matematici che alcuni statistici ci stanno prospettando”.
Le fasi di riapertura
Solo una volta arrivati a un livello accettabile di contagi, legato soprattutto alla disponibilità di posti in terapia intensiva e alla capacità di assistenza, si potrà ricominciare. È difficile, da un punto di vista pratico, differenziare da regione a regione, perché vi sono diversi aspetti contrastanti.
“Se si sono verificati tanti casi - continua il professore - è presumibile che ci siano stati anche tanti soggetti immunizzati. Questo lo sappiamo, perché i dati riferiti dalla Protezione Civile sono sicuramente sottostimati e da moltiplicare almeno per 10.
Se permane ancora un’incidenza elevata (Lombardia in primis), questa scelta di apertura potrebbe essere in qualche modo dilazionata nel tempo, perché il rischio diffusivo c’è. É chiaro che nelle regioni con pochi casi la situazione è più controllabile, però, rimane il fatto che, soprattutto nel centro Sud, in particolare la Sardegna, vi sia comunque una gran quota di soggetti suscettibili”.
La ripresa delle attività
In merito alla riapertura delle attività, il professor Pregliasco commenta: “Gli elementi per definire la riapertura sono legati alle caratteristiche dei soggetti e delle professioni.
Anche in quest’ultimo caso gli estremi sono diversi: ad esempio, coloro che svolgono attività nell’ambito della selvicoltura (che si occupa di curare i nostri parchi e il nostro territorio al fine di prevenire potenziali incendi nel periodo estivo), presentano ovviamente un rischio di contrarre il virus molto basso.
All’opposto, per un assistente alla poltrona odontoiatrica, piuttosto che un parrucchiere, il rischio sarebbe elevato a causa di una potenziale esposizione, soprattutto nel primo caso, data dalla produzione di aerosol durante l’attività.
Per ogni attività professionale, sarà necessario prestare un’attenzione particolare con una revisione delle norme di sicurezza previste dalla legge 81 da parte del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), attraverso una serie di indicazioni rispetto le modalità di distanziamento e di turnazione per evitare eccessivi assembramenti.
L’uscita dall’isolamento sociale
Per quanto riguarda la vita comune, è chiaro che tutti dovremo in qualche modo adattarci ad una maggiore attenzione verso l’incolumità del prossimo limitando quindi le effusioni e i contatti inter-umani.
Dovremmo, inoltre, ricordarci di continuare a mantenere in maniera sistematica il distanziamento sociale, con un’accurata igiene personale e un efficace lavaggio delle mani”.
Mascherine e guanti: sono sempre utili?
Per quanto riguarda l’utilizzo di mascherine e guanti, l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha fatto notare come, a oggi, non esista una dimostrazione di un uso sistematico nella comunità mentre, al contrario, rimangono indispensabili nell’attività lavorativa di tipo sanitario.
“Tuttavia - raccomanda l’esperto - esiste anche un aspetto pedagogico del portare la mascherina, perché ci ricorda quanto sia fondamentale proteggerci. La mascherina, come qualsiasi dispositivo, va gestita in modo adeguato, perché essa stessa, se mal curata, può essere fonte di contagio.
Nel caso in cui non vi sia la disponibilità, sperando che in futuro ce ne possano essere di più, è sufficiente una sciarpa o un foulard per ridurre l’esposizione.
La mascherina chirurgica, non dimentichiamolo, è utile soprattutto al paziente, perché riduce la quantità di goccioline che emette.
“Anche per quanto riguarda le mascherine, soprattutto le ffp2 che hanno una durata tecnica di 6/8 ore di uso continuativo - conclude Pregliasco - è possibile, nella pratica quotidiana, tollerare un riutilizzo trattandole con spray disinfettante e lasciandole areare (salvo particolari danni)”.
Istruzioni d’uso per i guanti nella vita comune: come levarli e lavarli
“Anche l’utilizzo dei guanti va gestito con grande attenzione soprattutto la modalità con cui vengono tolti. Il metodo è semplicissimo: bisogna pizzicare il palmo della mano (destra o sinistra, in base alla comodità) facendo scivolare il guanto e tenendolo rovesciato (con la parte sporca all’interno) con l’altra mano - spiega il virologo.
Viceversa, per togliere l’altro guanto, infilare il dito sotto il bordo sul polso in modo da non toccare la superficie e, anche qui, estrarre il guanto rovesciandolo e infilandolo a sua volta nell’altro.
Infine, buttare via tutto. Ovviamente, questa è un’indicazione tecnica a livello dei sanitari.
Per uso comunitario, quando il rischio di contagio è basso, è possibile rilavare accuratamente i guanti (prima di toglierli) con sapone o gel antibatterico e lasciare agire”.