Displasia Evolutiva dell’Anca (DEA): il trattamento con la chirurgia robotica

PUBBLICATO IL 03 GENNAIO 2025

La Displasia Evolutiva dell’Anca (DEA) è una causa comune di coxartrosi (artrosi dell’anca) secondaria, che in alcuni casi rende necessari interventi di protesi d’anca.

Il dott. Marco Agnoletto, ortopedico e traumatologo presso l’Unità operativa di Chirurgia Articolare Sostitutiva e Chirurgia Ortopedica (C.A.S.C.O.) dell’IRCCS Ospedale Galeazzi – Sant’Ambrogio, ci spiega la patologia e il suo trattamento partendo dalla sua tesi di Master di II livello in Chirurgia Protesica Robotica di Anca e Ginocchio, ottenuto presso l'Università Vita-Salute San Raffaele.

 

Che cos’è la Displasia Evolutiva dell’anca (DEA)

“La Displasia Evolutiva dell’Anca (DEA) - spiega il dott. Agnoletto - è un’anomalia dello sviluppo dell’anca, che può causare alterazioni alla testa del femore, all’acetabolo e nei tessuti molli circostanti”.

L’anca, infatti, è composta da 2 parti osee:

  • l’acetabolo, cioè l’incavo dell’osso del bacino che ospita la testa del femore;
  • la testa del femore, cioè l’estremità superiore dell’osso, che ha una forma sferica e si incastra all’interno della cavità acetabolare. Tra la cavità acetabolare e la testa del femore è presente uno strato di cartilagine.

 

Come avviene la diagnosi

“La diagnosi di DEA – specifica lo specialista - avviene già nei primi giorni di vita del neonato.

Il medico, infatti, è in grado di rilevare il difetto tramite una serie di manovre specifiche agli arti inferiori. Inoltre, i bambini con questa malformazione possono presentare un’asimmetria delle pieghe cutanee ed eterometria degli arti. 

La diagnosi definitiva, tuttavia, avviene tramite:

  • ecografia alle anche, entro le prime settimane di vita;
  • radiografia, dopo i 4-6 mesi”.

 

Il trattamento e le conseguenze se non curata

Nei neonati, il trattamento della Displasia Evolutiva dell’Anca avviene tramite l'uso di divaricatori, tutori che possono essere dinamici o statici e che consentono di mantenere le ginocchia del neonato aperte verso l’esterno e sollevate verso il torace.

Nei casi più gravi possono essere indicati gessi pelvi-podalici o addirittura l’intervento chirurgico.

“Se la patologia non viene trattata – prosegue il dottore - può provocare lussazioni ed essere causa precoce di coxartrosi, cioè di usura della cartilagine acetabolare e della testa del femore. Questo significa che il movimento tra le 2 ossa non è più agevole, causando dolore e difficoltà nel movimento”.

Quando la qualità della vita è compromessa, è possibile ricorrere a un intervento di protesi d’anca. L'intervento chirurgico consente di sostituire l'articolazione dell'anca, ormai degenerata in modo irrecuperabile, con componenti artificiali, allo scopo di eliminare il dolore e di restituire una mobilità articolare quanto più possibile vicina a quella normale.

 

La chirurgia robotica per il trattamento della displasia evolutiva dell’anca: lo studio del dott. Agnoletto

“L’intervento di protesi d’anca nei pazienti affetti da artrosi secondaria a DEA – spiega il dott. Agnoletto - è particolarmente impegnativo, a causa delle variazioni anatomiche sia dell’acetabolo, sia del femore”.

L’acetabolo displasico, infatti, presenta spesso pareti ridotte, una configurazione sfuggente e una versione alterata, mentre il femore può avere un collo con elevata antiversione e un canale ristretto. Queste caratteristiche possono comportare un aumentato rischio di:

  • malposizionamento delle componenti protesiche;
  • instabilità articolare;
  • infezione (a causa di un’aumentata durata dell’intervento chirurgico);
  • eterometria degli arti inferiori (differenza di lunghezza);
  • deficit nervosi.

Negli ultimi anni, l’introduzione di sistemi di navigazione e robotica ha permesso di aumentare la precisione nel posizionamento degli impianti, con l’obiettivo di migliorare i risultati clinici rispetto alla tecnica manuale tradizionale.

Lo studio condotto dal dott. Marco Agnoletto si propone di valutare i vantaggi e gli svantaggi della robotica in questi interventi.

 

I risultati dello studio

“L’assistenza robotica – sottolinea l’esperto - ha dimostrato di migliorare l’accuratezza nel posizionamento della protesi d’anca, specialmente nei casi di artrosi primaria.

Nel contesto della DEA, i risultati non sono tuttavia altrettanto uniformi, poiché la robotica sembra essere particolarmente vantaggiosa solo nei pazienti con gradi lievi di displasia (Crowe I e II), dove le variazioni anatomiche sono meno estreme.

Nei casi più gravi, come le displasie Crowe III e IV, le alterazioni anatomiche dell’acetabolo rendono più difficile ottenere un posizionamento ideale del cotile anche con il robot".

Inoltre in questi casi, spesso è necessario l’uso di viti di stabilizzazione che possono tuttavia interferire con l’accuratezza ottenuta grazie al robot.

Il ripristino del centro di rotazione anatomico, un aspetto cruciale per la funzionalità dell’articolazione, non risulta significativamente migliorato con la robotica rispetto alla tecnica manuale. Infatti, il centro di rotazione viene frequentemente elevato intenzionalmente anche usando il robot, al fine di ottenere una maggiore copertura e stabilità del cotile. 

Nei pazienti con DEA, anche il posizionamento della componente femorale presenta diverse difficoltà a causa delle anomalie anatomiche del femore. Nei pazienti con canali stretti e forme particolari, l’inserimento di impianti convenzionali diventa complesso. Per questo motivo una pianificazione pre-operatoria mediante TC, utilizzata con i sistemi robotici, permette di adattare meglio l’impianto alla specifica anatomia del paziente. 

Inoltre, il robot consente una accurata valutazione intra-operatoria di taglia, versione e offset femorale, parametri fondamentali per un buon risultato clinico e radiologico.

Un altro aspetto fondamentale per i pazienti con DEA è la correzione della lunghezza degli arti. L’uso della robotica permette un’ottima riduzione della discrepanza di lunghezza degli arti, anche se non ha mostrato differenze significative nella correzione dell’eterometria rispetto alla tecnica manuale. Questo dato è sicuramente influenzato dalla tensione dei tessuti tipica di questi pazienti e dal posizionamento superiore del centro di rotazione.

Gli outcomes clinici a breve termine sono ottimi, mentre non sono ancora disponibili dati a lungo termine. 

Le complicanze intraoperatorie risultano generalmente comparabili tra la tecnica robotica e quella manuale; anche le perdite ematiche sono simili in quanto, nonostante la robotica richieda ulteriori passaggi intraoperatori, la preparazione della componente acetabolare e femorale viene effettuata più rapidamente e ciò consente di contenere il sanguinamento. 

Gran parte degli studi analizzati sono retrospettivi e basati su campioni ridotti. Inoltre, le variabili come il tipo di impianto, l’esperienza del chirurgo e i protocolli post-operatori possono influenzare i risultati. È quindi necessario un maggior numero di studi prospettici per consolidare le evidenze sui benefici della robotica nei pazienti con DEA. 

 

L’importanza di un approccio personalizzato

La chirurgia robotica migliora l’accuratezza e la precisione nel posizionamento delle protesi d'anca, soprattutto nei casi meno gravi di displasia evolutiva dell'anca, ma non risolve tutti i problemi legati alla correzione della lunghezza degli arti e al ripristino del centro di rotazione. 

La decisione di utilizzare sistemi robotici dovrebbe quindi essere valutata caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche del paziente e delle evidenze disponibili in letteratura.

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