Steatosi Epatica: cause e cure del fegato grasso
PUBBLICATO IL 28 GENNAIO 2021
Il fegato grasso, se trascurato, può portare a una infiammazione del fegato stesso. L’esperto spiega in cosa consiste la malattia e come curarla.
Si chiama steatosi epatica o NAFLD, sigla inglese che significa “fegato grasso per causa non alcolica”, e consiste nell’accumulo eccessivo di grasso all’interno delle cellule del fegato.
Un problema, in costante aumento, che secondo recenti statistiche riguarda più del 20% degli adulti e il 15% dei bambini. Quali sono i rischi? E quali le cure? Lo abbiamo chiesto al dottor Paolo Del Poggio, epatologo del Policlinico San Marco.
Il fegato nel grasso: come si accumula e perché è pericoloso
È normale che una certa quantità di grasso si concentri nel fegato, ma quando la percentuale supera il 5 % del peso dell’organo allora si sviluppa la malattia.
Il grasso si accumula perché arriva al fegato troppa energia, sotto forma di acidi grassi, che provengono da un eccesso di zuccheri e grassi (come succede nel diabete e nell’obesità). Questi acidi sono tossici per il fegato, perché ossidano e danneggiano i mitocondri, le “pile” che producono l’energia necessaria per la vita della cellula. Il fegato cerca di proteggersi neutralizzando e accumulando gli acidi grassi sotto forma di goccioline di trigliceridi.
La NASH, steatoepatite non alcolica
Se l’afflusso di acidi grassi al fegato continua, questo meccanismo di protezione non è più sufficiente e si sviluppa una sofferenza epatica con infiammazione e fibrosi (indurimento del fegato), una condizione che viene chiamata NASH (sigla inglese che significa “steatoepatite non alcolica”).
La NASH è più pericolosa della steatosi (NAFLD), perché può portare alla cirrosi epatica.
“In altre parole - commenta il medico epatologo - è un po’ come se tenessimo il cellulare costantemente in carica: alla fine la batteria si danneggia e il cellulare smette di funzionare”.
Fegato grasso e peso corporeo
La maggior parte delle NAFLD è legata alla sindrome metabolica, caratterizzata da sovrappeso, resistenza all’azione dell’insulina o diabete, alti valori di trigliceridi, ipertensione arteriosa e aumento del grasso viscerale addominale.
Questa condizione si associa a un maggior rischio cardiovascolare, ma può anche facilitare l’insorgenza di tumori e causare danno epatico.
In alcuni casi si può verificare anche nei pazienti magri, ovvero con BMI (Body Mass Index) inferiore a 25 (in questo caso si parla di lean NAFLD). Questo perché, pur avendo un peso normale, i soggetti accumulano comunque grasso viscerale.
Ci sono poi invece persone obese, i cosiddetti healthy obese, in cui il grasso viscerale è presente ma risulta essere più ‘buono’ e non causa danno epatico”.
È evidente quindi che il quadro è più complesso e sfumato rispetto all’equazione sovrappeso/obesità uguale patologia epatica.
Le possibili cause della steatosi
“Quello che conta davvero è la quantità e la ‘qualità’ del grasso viscerale - approfondisce lo specialista -. Il grasso viscerale, infatti, è endocrinologicamente attivo, secerne ormoni quali adiponectina e leptina, oltre a svolgere un ruolo dal punto di vista infiammatorio (secerne citochine).
Anche il tipo di microbioma (flora) intestinale e la genetica giocano un ruolo importante nel determinare il danno epatico. Si stanno infatti isolando geni che risultano protettivi (H63D17B13) e geni che al contrario aggravano la malattia (PNPLA-3, TM-6, m-BOAT)”.
E non è tutto. Ci sono anche alcune malattie genetiche che possono causare steatosi epatica:
- l’ipo-betalipoproteinemia, riscontrata in persone con bassi livelli di colesterolo e trigliceridi, in cui il cuore risulta protetto e l’organo ‘bersaglio’ diventa il fegato;
- i deficit di lipasi acida lisosomiale (LAL) in cui la persona ha alti livelli di trigliceridi e colesterolo associati a malattia epatica. Questa malattia può essere curata somministrando l’enzima mancante (sebelipasi).
Come si cura il fegato grasso
“Dobbiamo staccare il cellulare dal carica-batterie, cioè introdurre meno energia, e usarlo di più, cioè aumentare il consumo di energia.
Dieta ed esercizio fisico sono dunque i capisaldi della terapia. Non si deve puntare a un rapido calo ponderale (che tra l’altro potrebbe danneggiare il fegato), ma a un cambiamento duraturo delle abitudini alimentari e dello stile di vita.
Si deve insegnare al paziente a ridurre le calorie della dieta (ad esempio, riducendo le porzioni dei piatti), ma anche a scegliere gli alimenti appropriati. Dovranno così essere ridotti i grassi saturi (salumi, formaggi stagionati) e gli zuccheri semplici, a rapido assorbimento.
Un utile suggerimento è cercare su Google “Indice glicemico degli alimenti” e preferire quelli a basso indice. Un altro provvedimento importante è ridurre i cibi ricchi in fruttosio (bibite, merendine, hamburger e succhi di frutta commerciali, quantità eccessiva di uva, fichi e frutta zuccherina), in quanto il fruttosio aumenta di molto la steatosi epatica.
Attività fisica regolare
Importante è poi inserire il movimento nella sua attività quotidiana: ad esempio, lasciare la macchina lontana dal posto di lavoro e fare le scale invece di prendere l'ascensore. Per i più casalinghi un trucco è consigliare l’uso della cyclette nella mezz’ora del telegiornale tutte le sere.
Limitare gli alcolici
Ovviamente dovrà essere limitato il consumo di alcolici, perché apportano calorie ed in quantità eccessiva causano danno al fegato. Il limite di sicurezza da non superare sono 2 unità alcoliche per l’uomo e 1 per la donna (una unità alcolica corrisponde a un bicchiere medio di vino o a una birra media o a una correzione con superalcolico).
Le malattie di accompagnamento
Un altro aspetto importante è valutare il rischio cardiovascolare, quasi sempre presente, e correggerlo in collaborazione con il medico di base e con altri specialisti. A volte ci sono malattie di accompagnamento che devono essere riconosciute e trattate, quali l’ipotiroidismo e la sindrome dell’apnea notturna.
I farmaci
Devono poi essere valutati i farmaci che il paziente sta assumendo: alcuni farmaci usati per il controllo della pressione arteriosa (ACE inibitori e sartani) possono rallentare la progressione della fibrosi e il loro uso va incoraggiato. Anche le statine, farmaci importantissimi che riducono i livelli di colesterolo e il rischio cardiovascolare, possono avere un effetto protettivo fegato (le statine a volte causano lievi e non pericolosi aumenti delle transaminasi, ma questi aumenti non giustificano quasi mai la loro sospensione).
Infine, abbiamo a disposizione alcuni farmaci che aiutano il fegato a proteggersi dall’ossidazione e a scaricarsi dai grassi (Vitamina E, Metformina, Pioglitazone e Silibina). Molte altre molecole (FXR agonisti, cenicriviroc, elafibranor, resmetiron, aldafermina e tropifexor etc.) sono attualmente allo studio e si spera possano essere introdotte per la cura di questa malattia.
Come si scopre
L’esame per diagnosticare il fegato grasso è l’ecografia: “Con una semplice ecografia è possibile evidenziare se il fegato è grasso e anche stabilire la gravità dell’accumulo - spiega il dottore -.
Quello che però conta è valutare la fibrosi, che dà la misura del danno subito dal fegato. La fibrosi è, infatti, il risultato di uno stato di infiammazione persistente.
Immaginiamo che il mare sia il fegato: se è calmo, e quindi non c’è infiammazione, non vengono portati detriti fino alla spiaggia creando degli accumuli (fibrosi); se invece si “infiamma” con onde e cavalloni inevitabilmente porterà detriti alla spiaggia che finiranno per accumularsi.
Le onde rappresentano una situazione momentanea, mentre i detriti rappresentano il danno persistente provocato alla spiaggia”.
Gli esami del sangue e gli scores
Una prima indicazione delle condizioni del fegato si può avere dagli esami del sangue che combinati fra loro in particolari formule (o scores) danno un’idea della fibrosi che si è accumulata nel fegato.
Come primo step, una volta diagnosticato il fegato grasso, si applicano questi scores, i più noti sono il NAFLD FIBROSIS SCORE e il Fib-4.
Se gli scores danno un punteggio basso il paziente non ha un danno significativo e può essere seguito dal medico curante che darà gli opportuni consigli igienico-dietetici.
Gli esami di secondo livello
Se gli scores superano una determinata soglia è opportuno che il paziente venga valutato dallo specialista il quale eseguirà esami di secondo livello.
Potrà ad esempio misurare l’elasticità del fegato e il grado di fibrosi con l’Elastometria transiente (TE), nota come FibroScan, e l’Elastografia shear wave (SWE), due esami non invasivi e di facile applicabilità e riproducibilità.
Nei casi più complicati potrà essere effettuata una biopsia epatica, una elasto-RMN o una RMN multiparametrica (questi ultimi due esami non sono ancora entrati nella pratica clinica comune in Italia).
In casi ancora più particolari lo specialista richiederà test genetici o esami specifici per escludere malattie rare. A seguito di questa valutazione diagnostica il medico potrà dare la terapia farmacologica attualmente indicata per la NAFLD, indirizzare il paziente a centri di chirurgia bariatrica nel caso vi fosse una obesità grave o inviare il paziente ad altri centri per un eventuale inserimento negli studi con i nuovi farmaci.