
Terapia psichedelica e disturbi dell’umore: a che punto siamo con la ricerca?
PUBBLICATO IL 11 MARZO 2025
In occasione della Settimana del cervello, che quest’anno si svolge dal 10 al 16 marzo 2025, abbiamo intervistato il professor Danilo De Gregorio, Associato di Farmacologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e Project Leader dell’Unità di Neuropsicofarmacologia presso l’Ospedale San Raffaele, per un approfondimento su un tema molto dibattuto nella comunità scientifica internazionale: l’impiego della terapia a base di sostanze allucinogene e psichedeliche per trattare i disturbi dell’umore.
Cosa sono i disturbi dell’umore
I disturbi dell’umore sono patologie che riguardano sia aspetti psicologici, sia fisici della persona che ne è affetta. I principali disturbi comprendono: la depressione maggiore, caratterizzata da costante tristezza, astenia e stanchezza, e il disturbo bipolare, che si manifesta attraverso un alternarsi irregolare di fasi di contentezza ed euforia a momenti di calo dell’umore.
“I disturbi dell’umore sono patologie multifattoriali. Essi possono insorgere a causa di fattori biologici, ambientali o genetici, oppure essere provocati dall’assunzione cronica di alcuni farmaci o anche da eventi traumatici vissuti dall’individuo”, spiega il professor De Gregorio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica che in tutto il mondo circa 280 milioni di persone soffrono di depressione maggiore, mentre: “Solo in Italia le persone che soffrono di disturbi dell’umore sono circa 6-7 milioni. Prima della pandemia da Covid-19 e dell’isolamento sociale forzato che abbiamo tutti sperimentato, i numeri si aggiravano attorno ai 4 milioni.
Sono numeri decisamente importanti, su cui dobbiamo riflettere - continua il professore -. In particolare, l’incidenza dei disturbi dell’umore, sia nella loro versione depressiva, sia bipolare, è maggiore nella popolazione femminile”.
I dati anagrafici, invece, mostrano che a essere maggiormente vulnerabili a queste patologie sono in media giovani adulti di età compresa tra i 20 e i 45-50 anni, sebbene esistano forme di disturbo dell’umore che colpiscono soggetti più giovani o in età senile.
Neurobiologia dei disturbi dell’umore
Anche secondo la neurobiologia (branca della biologia che studia il sistema nervoso), la causa dei disturbi dell’umore è multifattoriale.
“Storicamente, la causa principale attribuita all’insorgenza di questi disturbi è l’alterazione di alcuni meccanismi di neurotrasmissione, come quelli mediati dalla serotonina e dalla noradrenalina - spiega il professor De Gregorio -. Si è sempre pensato che un calo nella produzione di questi neurotrasmettitori fosse la ragione dello sviluppo dei sintomi depressivi.
Nella depressione maggiore, per esempio, in alcune aree del cervello si osserva una ridotta produzione di serotonina, un neurotrasmettitore coinvolto in varie funzioni, compresa la regolazione dell’umore”.
Tuttavia, oltre all’alterazione dei circuiti che coinvolgono la serotonina, sembra che i disturbi dell’umore siano associati anche al malfunzionamento e a una carenza della trasmissione mediata dal glutammato, un altro neurotrasmettitore.
“Infine, la ricerca ha osservato che i disturbi dell’umore si accompagnano a un malfunzionamento del sistema immunitario e a uno stato infiammatorio persistente di tutto il corpo, come studiato nel nostro Ospedale dall’Unità di ricerca del professor Francesco Benedetti”, aggiunge De Gregorio.
La ricerca del San Raffaele su allucinogeni e psichedelici per i disturbi dell’umore
Il professor De Gregorio nasce come neurofarmacologo, per poi progressivamente interessarsi alla neuropsicofarmacologia. Inizialmente il suo laboratorio si dedicava alla sola ricerca sui disturbi psichiatrici, con un particolare focus sui disturbi dell’umore. Oggi, afferma il professore, “ci occupiamo anche di altre patologie psichiatriche, come le dipendenze patologiche: abbiamo progetti che riguardano sia la depressione maggiore sia l’impatto cronico del consumo di alcol”.
Uno degli obiettivi principali della ricerca pre-clinica condotta da De Gregorio è indagare il funzionamento degli allucinogeni e degli psichedelici nel trattamento dei disturbi dell’umore e delle dipendenze patologiche, tramite un’analisi neuronale, morfologica e comportamentale nei diversi modelli di disturbi dell’umore.
Le sostanze allucinogene alterano temporaneamente le sensazioni, le percezioni e lo stato di coscienza del soggetto che le assume, e il loro potenziale terapeutico è tema di dibattito internazionale.
“Queste sostanze hanno una farmacologia molto complessa, che dipende anche dal tipo di patologia contro cui esse vengono impiegate - afferma De Gregorio, che evidenzia alcune criticità del trattamento attualmente approvato dei disturbi dell’umore -. Sebbene dal punto di vista clinico esistano delle terapie standardizzate per queste patologie, che prevedono, per esempio, l’impiego di antidepressivi come gli inibitori della ricaptazione della serotonina, soltanto il 30% dei pazienti risponde traendone beneficio terapeutico.
Per questo motivo è fondamentale cercare nuove terapie e strategie farmacologiche, al fine di aumentare sempre di più la percentuale dei pazienti responsivi - aggiunge il professore -. Il nostro interesse è dunque capire come funzionano gli allucinogeni e gli psichedelici, dopo trent’anni in cui la ricerca su di essi è rimasta ferma”.
Un lasso di tempo molto ampio, perché a partire dagli anni Settanta gli psichedelici iniziarono a essere classificati come sostanze d’abuso, prive di qualsiasi potenziale terapeutico. Eppure la ricerca su queste sostanze risale già al 1938, quando il chimico svizzero Albert Hofmann, nel tentativo di creare un nuovo anti-ipertensivo, sintetizzò per caso l’LSD (dietilamide dell’acido lisergico), una sostanza allucinogena in grado di alterare le percezioni e l’umore di chi lo assume, e di cui testò gli effetti su di sé.
Il potenziale terapeutico degli psichedelici
Parlare di psichedelici significa parlare di una particolare classe dei cosiddetti ‘allucinogeni’. Queste ultime sostanze producono allucinazioni visive e altri fenomeni, come la sinestesia, che consiste nella percezione unificata di 2 o più sensi diversi o contrastanti. Per esempio, la sinestesia si manifesta quando ci sembra di ascoltare o annusare un colore.
Un altro fenomeno associato all’uso degli allucinogeni è l’ego-dissolution (dall’inglese, dissoluzione, scomparsa dell’io), una forma di delirio che induce l’individuo a distaccarsi parzialmente dalla realtà e a intrecciare una connessione più profonda con sé stesso.
Tra gli allucinogeni riconosciamo 2 classi di sostanze:
- gli psichedelici, come LSD, mescalina o psilocibina;
- gli anestetici dissociativi, come la ketamina, che generano una sensazione di ‘distacco’ dalla realtà.
“Nella nostra Unità di Neuropsicofarmacologia, diretta dalla professoressa Flavia Valtorta, tra le varie cose studiamo in ambito sperimentale l’effetto della ketamina e dell’LSD, su modelli pre-clinici della depressione maggiore e di disturbi del consumo cronico di alcol”, afferma il professor De Gregorio.
Qual è il meccanismo d’azione degli allucinogeni
Sotto il profilo neurofarmacologico, gli allucinogeni agiscono interagendo con i recettori, strutture proteiche che si trovano sulla membrana cellulare dei neuroni, a cui si legano specifici neurotrasmettitori.
La psilocibina, che si ricava dai funghi allucinogeni, è un esempio di psichedelico attualmente in fase sperimentale in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti d’America e la Svizzera, per il trattamento di forme di depressione maggiore che sono resistenti al trattamento con gli antidepressivi approvati.
La psilocibina agisce attivando il recettore della serotonina 5HT2A. Tuttavia, quando una sostanza agonista come la psilocibina si lega a un recettore, essa agisce potenziando l’azione della serotonina, inducendo una risposta biologica più intensa.
La ketamina e un suo derivato chimico, l’esketamina, invece, “rappresentano una prima grande novità in ambito psichiatrico”, spiega De Gregorio. A differenza della psilocibina, la ketamina, che è un anestetico dissociativo, è stata approvata in Italia nel 2023 a uso terapeutico solo per i pazienti con depressione resistente al trattamento.
Dal punto di vista neurofarmacologico, la ketamina è un farmaco antagonista che blocca il recettore per il glutammato di nome NMDA. Oltre a modulare l’attività eccitatoria del glutammato, la ketamina influenza anche il sistema GABAergico il quale impiega il neurotrasmettitore GABA. Quest’ultimo, a differenza del glutammato, inibisce l’attività neuronale.
La ketamina agisce bloccando i recettori NMDA presenti sui neuroni GABAergici, impedendo così al GABA di bloccare la trasmissione del glutammato. “Quindi, è come se la ketamina togliesse il ‘freno inibitorio’ rappresentato dal GABA e agisse potenziando la trasmissione glutammatergica” afferma il Professore.
Vantaggi ed effetti collaterali della terapia allucinogena
Perché impiegare proprio gli allucinogeni nel trattamento dei disturbi dell’umore? Un vantaggio di questo approccio terapeutico è la possibilità di goderne i benefici in un tempo molto breve, considerata la relativa rapidità d’azione di queste molecole.
“Ad esempio, la ketamina o l’esketamina agiscono dopo già 1 singola somministrazione, quindi dopo poche ore. Una classica terapia antidepressiva, invece, impiega almeno 3 o 4 settimane prima di avere effetto: per un paziente affetto da forme molto gravi di depressione è molto importante che l’azione terapeutica sia tempestiva”, continua De Gregorio.
Inoltre, è importante sottolineare che, al netto della ketamina, queste sostanze non creano dipendenza, contrariamente a quanto si pensava in passato. Esse, infatti, non coinvolgono il cosiddetto ‘circuito della ricompensa e della gratificazione’, che è solitamente alla base dei comportamenti di abuso e dipendenza.
L’impiego della terapia con allucinogeni e psichedelici presenta dunque diversi vantaggi, ma richiede l’accurata definizione di linee guida e protocolli molto stringenti e controllati. “Lo psichedelico, soprattutto se somministrato in alte dosi, può generare come effetti collaterali allucinazioni che è molto importante tenere sotto controllo. Questo significa che questo tipo di trattamento deve avvenire in un ambiente terapeutico ben definito e controllato”, sottolinea il Professore.
Una volta somministrata la prima dose di psichedelici, infatti, il paziente deve rimanere monitorato almeno 12 ore in un ambiente molto rilassato, dove potersi sentire protetto, soprattutto dopo aver avuto un’esperienza come l’allucinazione.
“Esistono a questo proposito delle cliniche specializzate apposta per la somministrazione della terapia psichedelica negli Stati Uniti e in Svizzera, in cui il paziente è opportunamente seguito da medici specializzati, oltre a essere affiancato a un infermiere e a uno psicoterapeuta” spiega De Gregorio.
Lo stigma verso la salute mentale
Gli psichedelici potrebbero rappresentare una possibile alternativa al trattamento dei disturbi dell’umore, soprattutto nei casi più gravi di depressione resistente, motivo per cui la ricerca e il dibattito internazionali intorno a queste sostanze sono oggi molto intensi.
Tuttavia, la salute mentale rimane ancora un tema particolarmente acceso: “C’è ancora uno stigma verso le patologie psichiatriche. Si fatica a considerarle come patologie di ‘serie A’, perché vengono viste come malattie che impattano in modo molto meno immediato rispetto ad altre patologie - afferma il professore -. Queste malattie, inoltre, vengono impropriamente associate a una debolezza d’animo, quando in realtà al di sotto di esse c’è un danno biologico”.