Come si diagnostica e cura il tumore alla prostata
PUBBLICATO IL 22 GENNAIO 2025
Il tumore alla prostata è la neoplasia solida più frequente nella popolazione maschile adulta con un’incidenza superiore a 40.000 nuovi casi all’anno in Italia. Sebbene sia una malattia molto eterogenea e con diversi gradi di aggressività, questa è la seconda causa di decessi per tumore negli uomini a livello mondiale.
Abbiamo incontrato il professor Alberto Briganti, vicedirettore dell’Urological Research Institute (URI), l’Istituto di Ricerca urologica, e capo dell’Unità di Ricerca sul cancro alla prostata presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, per saperne di più sulle nuove strategie di diagnosi e trattamento del tumore prostatico.
La diagnosi precoce sopra i 50 anni: PSA e risonanza magnetica nucleare
In passato, la diagnosi del tumore alla prostata si basava esclusivamente sulla misura dei livelli nel sangue di un biomarcatore chiamato Prostate Specific Antigen (PSA), l’antigene prostatico specifico.
Oggi, le linee guida internazionali stabiliscono che in caso di sospetto clinico di tumore prostatico, basato su diversi parametri tra cui anche un aumentato valore di PSA, è raccomandato l’utilizzo di nuove tecniche di diagnostica per immagini, come la risonanza magnetica nucleare (Rmn).
Questo approccio combinato è importante per evitare la diagnosi eccessiva di tumore alla prostata, cioè la diagnosi di forme tumorali che sono clinicamente non significative.
La diagnosi basata sulla sola valutazione del PSA nel sangue rischia, infatti, di esporre i pazienti a sottoporsi a biopsie, cioè raccolte di campioni di tessuto prostatico, non necessarie, dato che un alto livello del biomarcatore non è associato automaticamente alla presenza della patologia.
La risonanza magnetica aiuta a capire quali pazienti, nonostante un PSA elevato, possono evitare una biopsia prostatica.
La valutazione precoce del PSA tra i 40 e 50 anni
“L’utilizzo di percorsi mirati per la diagnosi di neoplasia prostatica non è solo importante nelle fasce di età più avanzate, a maggior rischio di contrarre la malattia.
Negli ultimi anni abbiamo, infatti, capito quanto sia importante elaborare strategie individualizzate (in inglese, risk adapted strategies) che ci permettano di capire come ottimizzare i percorsi diagnostici anche negli uomini giovani (intorno ai 45 anni) mediante una semplice valutazione iniziale del PSA.
In base al risultato di questa indagine, si effettuano percorsi individualizzati e si utilizzano test come la risonanza magnetica, per aumentare la sensibilità e la specificità della rilevazione iniziale del PSA.
Se i livelli di questo biomarcatore, infatti, sono sotto una certa soglia (circa 1-1.5 ng/ml) negli uomini giovani (nella quarta decade), il paziente può essere rassicurato che la probabilità di contrarre la patologia nei 10 anni successivi è molto bassa.
Se, invece, il valore del PSA supera questa soglia, allora il paziente deve sottoporsi a valutazioni più ravvicinate nel tempo ed esami più approfonditi.
Quindi, misurare il PSA in giovane età può aiutare la prevenzione su misura del paziente”, spiega il professor Briganti.
La valutazione precoce del PSA nei casi di familiarità al tumore prostatico
La valutazione precoce dei livelli di PSA è particolarmente indicata, inoltre, per i soggetti che hanno una storia familiare di tumore alla prostata. In particolare, rispetto alla popolazione generale, i soggetti con un familiare di primo grado affetto dalla malattia hanno una probabilità 2 volte e mezzo più alta di sviluppare a loro volta il tumore.
Non solo, ma la familiarità del tumore alla prostata si può accompagnare anche a quella per la mammella e altre patologie ginecologiche.
“Oggi sappiamo che le mutazioni di alcuni geni che regolano la riparazione del DNA, come il gene BRCA2, che è mutato anche in altri tumori come quello mammario, sono associate a un rischio maggiore di sviluppare cancro alla prostata”, continua il professore.
Nuove tecniche diagnostiche e l’intelligenza artificiale
Nel tumore alla prostata, la risonanza magnetica è l’esame di primo livello da fare se c’è il sospetto clinico di malattia. In base all’esito della risonanza si aprono 2 diversi scenari:
- se la risonanza è negativa, cioè non segnala il sospetto di tumore clinicamente significativo, la biopsia non è generalmente necessaria;
- se la risonanza è positiva, cioè segnala il sospetto di tumore clinicamente significativo, allora è possibile fare una biopsia molto mirata delle zone della ghiandola interessate.
Per migliorare ulteriormente la diagnosi, il gruppo del professor Briganti sta attualmente testando l’uso della Pet (Tomografia a emissione di positroni) con il PSMA, una tecnica di scansione che utilizza un nuovo tracciante chiamato PSMA (in inglese, Prostate Specific Membrane Antigen, antigene prostatico specifico di membrana). Questa metodica aiuta la classificazione mirata dello stadio del tumore e l’identificazione di eventuali metastasi.
“Qui al San Raffaele stiamo testando l’uso combinato della Pet con il PSMA e della risonanza magnetica nucleare (Rmn) anche per la diagnosi della patologia e stiamo ottenendo ottimi risultati”, commenta il professore.
In questo contesto, il gruppo del professor Briganti sta sperimentando anche l’uso delle tecnologie di intelligenza artificiale (AI) in sanità, la quale “ci permette di:
- leggere in modo più omogeneo e standardizzato le immagini;
- migliorare la classificazione del tumore;
- ottimizzare la diagnosi, la stadiazione e il trattamento del tumore prostatico”.
Le diverse possibilità di trattamento
Il trattamento del tumore alla prostata dipende dalle caratteristiche con cui si manifesta. Se la malattia è a rischio basso sulla base di criteri standardizzati, la prima opzione per il paziente con un’aspettativa di vita superiore ai 10 anni, è quello della semplice sorveglianza attiva, che corrisponde a sottoporsi a regolari controlli presso il medico urologo.
Per le altre forme del tumore più aggressive che non presentano metastasi si propongono:
- l’intervento chirurgico (ormai sempre più frequentemente eseguito con tecnica robotica);
- la radioterapia combinata con l’ormonoterapia, la quale si basa su farmaci che riducono i livelli di testosterone.
Entrambi i trattamenti sono indicati per i pazienti con un’aspettativa di vita di almeno 10 anni, dato che il tumore alla prostata ha tassi di progressione generalmente più lenti di altre patologie tumorali.
“Qui al San Raffaele proponiamo anche la terapia focale per il trattamento mirato della sola area della prostata interessata dalla malattia. Tuttavia, questa opzione è rivolta solo a un gruppo ben selezionato di pazienti, poiché tendenzialmente il tumore alla prostata è multifocale, cioè interessa più zone allo stesso tempo nella ghiandola”, continua il professore.
Per le forme del tumore che presentano metastasi si usa l’ormonoterapia in combinazione con i farmaci inibitori dei recettori per gli ormoni androgeni ed eventualmente la chemioterapia.
“Bisogna, inoltre, aggiungere che la radioterapia locale si è dimostrata efficace nel migliorare la sopravvivenza dei pazienti anche nei casi della malattia con metastasi iniziali, purché il numero di metastasi sia limitato. Pertanto, nei casi di malattia oligo-metastatica (cioè con poche metastasi) il trattamento è spesso multi-modale, sia quindi con radioterapia che con farmaci sistemici”.
Come fare prevenzione
Per quanto riguarda la prevenzione del tumore alla prostata, l’unica possibile è il monitoraggio precoce, attraverso il consulto regolare dell’urologo dopo i cinquant’anni d’età.
“A oggi, non esistono evidenze scientifiche convincenti che indichino comportamenti particolari da adottare per la prevenzione del tumore, se non le misure di buon senso che si applicano in generale per uno stile di vita salutare”, conclude il professor Briganti.