Malattie rare: una diagnosi per quelle senza nome
PUBBLICATO IL 04 NOVEMBRE 2021
*(pagina aggiornata il 22 novembre 2021)
Il progetto ‘No Diag’ dà una speranza ai pazienti con sindromi genetiche che coinvolgono il cuore e altri organi
La genetica medica negli ultimi anni ha compiuto numerosi progressi, ma ancora oggi la metà dei pazienti con sindromi genetiche non ha una diagnosi certa.
Si tratta di sindromi che colpiscono differenti organi e sistemi, tra cui spesso rientra il cuore, e sono causate da una singola, rarissima, mutazione genetica. Questa, come una lettera sbagliata, si è inserita nel codice genetico provocando una serie di anomalie congenite, con un impatto notevole sulla salute e sulla qualità di vita dei pazienti affetti.
Fornire a questi pazienti una diagnosi è uno dei principali obiettivi del percorso clinico nell’ambito delle malattie rare, ed è la missione del dottor Emanuele Micaglio, coordinatore di uno dei due ambulatori di Genetica Medica presenti all’IRCCS Policlinico San Donato, e dei suoi collaboratori. Un ambulatorio fortemente voluto dal prof. Carlo Pappone, responsabile dell’unità Aritmologia Clinica e del Laboratorio di Elettrofisiologia, che tra i primi ha introdotto la genetica all’interno della pratica clinica.
Qui vengono diagnosticate le cardiopatie con causa genetica, partendo dallo studio clinico a 360° dei pazienti: un’attività che ha portato alla valutazione di oltre 1.000 pazienti in un anno.
Gli obiettivi del progetto ‘No Diag’
Nel pieno dell’emergenza Covid, il dott. Micaglio insieme al suo team ha concepito un progetto di ricerca dal nome ‘No Diag’: utilizzando complesse tecniche di laboratorio, intende dare un nome alle sindromi al momento senza diagnosi.
“Non basta un test genetico per risolvere un caso, specialmente se si tratta di una sindrome genetica - spiega il dott. Micaglio - . La modalità di reclutamento dei pazienti è fondamentale per raggiungere i nostri 2 scopi più importanti:
- dare un nome e un cognome a una condizione genetica;
- trovare un risultato che sia clinicamente utile, ovvero che riesca a impattare in modo decisivo sulla qualità della vita del paziente e sul decorso della patologia”.
Avere una diagnosi può,infatti, determinare numerosi aspetti della vita. “Innanzitutto il risvolto psicologico, perché spesso questi pazienti sono reduci da una vera e propria peregrinazione in diversi centri.
Dal punto di vista pratico, non secondario, avere una diagnosi significa ottenere un’esenzione e un riconoscimento di invalidità, che può far accedere anche alle graduatorie per i lavori in categoria protetta.
Inoltre, questi pazienti possono accedere ai trial clinici e ai database internazionali finalizzati all’impiego di farmaci orfani”, descrive lo specialista.
La sinergia fra specialisti
Il progetto di ricerca nasce grazie alla grande collaborazione presente tra gli specialisti dell’area cardiovascolare dell’IRCCS Policlinico San Donato, eccellenza a livello europeo in ambito cardiovascolare, in particolar modo nell’ambito delle cardiopatie congenite.
Quando queste malformazioni del cuore, presenti sin dalla nascita, si accompagnano ad altre patologie riguardanti altri organi e sistemi, ci troviamo probabilmente davanti a pazienti affetti da una sindrome genetica che può essere inclusa nel progetto ‘No Diag’.
“Al Policlinico San Donato arrivano pazienti provenienti da tutta Italia, che necessitano di un intervento, spesso non il primo, per correggere la malformazione cardiaca congenita.
Magari in altri centri non sono stati sottoposti a un’indagine genetica, mentre qui la fitta rete di collaborazione esistente fra cardiologi e cardiochirurghi pediatrici, unità dedicate ai congeniti adulti, medici e tecnici genetisti, fa sì che si possano facilmente identificare i pazienti arruolabili nel progetto e dare loro una speranza.
In questo è fondamentale la collaborazione con l’IRCCS Ospedale San Raffaele , attiva da tanti anni e con ottimi risultati: l’unità di Genetica Medica, diretta dal prof. Giorgio Casari, ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele, e le dottoresse Paola Carrera e Sara Benedetti del Laboratorio di Genomica per la Diagnostica delle Patologie Umane”, continua l’esperto.
L’importanza del test genetico
“Sottoporre i pazienti a un test genetico è importante per comprendere perché hanno sviluppato la malformazione cardiaca e tutti gli altri problemi che coinvolgono, per esempio, la cataratta, la colonna cervicale, gli arti, il diabete, la tiroide, il fegato e l’apparato riproduttivo - afferma il medico - .
Le informazioni che si possono ottenere sono fondamentali dal punto di vista prognostico, indicano ai medici:
- cosa tenere d’occhio con l’avanzare dell’età;
- qual è il percorso di cura;
- a quali interventi potrebbe essere sottoposto il paziente.
Non da ultimo, è possibile condurre un’analisi sul nucleo familiare e sapere se altri membri sono portatori della mutazione”.
L’analisi del DNA
“Verificati i criteri necessari alla partecipazione allo studio, vengono arruolati il paziente (che in genetica si chiama ‘probando’, ovvero il primo individuo esaminato di una famiglia, in cui si riscontra un determinato carattere), la madre e il padre - spiega il medico genetista -.
Si effettua il prelievo di sangue e si procede con l’estrazione del DNA, presso il laboratorio del Policlinico di Milano. Si comincia l’iter genetico con l’analisi di tutta la porzione del DNA che oggi è associabile alle malattie umane, l’esoma.
Eseguita quest’analisi, vengono caratterizzati meglio i geni che sono stati trovati mutati:
- se la persona affetta è una, si va a vedere in cosa differisce dai propri genitori a livello genetico;
- se è una forma familiare, si va a capire cosa lo accomuna ai genitori.
Per quest’indagine sono necessari almeno 4 mesi”.
I primi successi
Se l’indagine ha un buon esito, il paziente riceve una diagnosi basata sul report di ricerca e sulla clinica.
“A oggi abbiamo ottenuto importanti risultati, dando finalmente un nome a sindromi rare, con incidenza inferiore a 1 caso su 100.000. Dare una diagnosi a questi pazienti significa:
- porre fine a un lungo percorso da ospedale a ospedale per ottenere un riconoscimento clinico;
- dare una spiegazione a tutti i problemi multiorgano che nel corso della vita li hanno colpiti;
- individuare finalmente delle cure personalizzate.
Alla prima paziente arruolata nello studio abbiamo diagnosticato una sindrome rarissima, di cui sono noti solo altri 33 pazienti nel mondo. Lei è la prima in Italia. Dare un nome alla sua malattia è stato come farla rinascere”, conclude il dott. Micaglio.
Il team
Il progetto ‘No Diag’ nasce grazie agli studi e all’attività di:
- Dott. Emanuele Micaglio, medico genetista del Policlinico San Donato;
- Prof.ssa Monica Miozzo, ordinario di Genetica Medica all’Università degli Studi di Milano;
- Dott.ssa Silvia Tabano, professore associato di Genetica Medica all’Università degli Studi di Milano;
- Dott.ssa Michelle Monasky, fisiologa del Policlinico San Donato;
- Dott.ssa Giada Moresco, biotecnologa del laboratorio di Genomica del Policlinico di Milano;
- Dott.ssa Sara D’Imperio, biologa del Policlinico San Donato.