Varianti Coronavirus: cosa sono e come agiscono
PUBBLICATO IL 25 FEBBRAIO 2021
In Italia e nel mondo sono state identificate diverse varianti del nuovo coronavirus, dalla variante inglese a quelle brasiliana. Il professor Pregliasco spiega cosa sono le varianti del virus, cosa hanno di diverso rispetto al virus tradizionale e se i vaccini sono ancora efficaci.
Le varianti rappresentano una naturale evoluzione del virus, qualsiasi esso sia. Questa rappresenta attualmente una tematica che sta molto preoccupando e che sta scatenando diversi dubbi sulla contagiosità, sull’aggressività ma, soprattutto, sull’efficacia della campagna vaccinale anti-Covid.
Purtroppo, in Italia, ma anche nel resto del mondo, non si è riusciti a monitorare queste varianti a sufficienza da poterle preventivamente individuare, a differenza, ad esempio, di quanto ha fatto il Regno Unito che, sin da subito, è riuscito in qualche modo a investire in questo ambito.
Una conseguenza naturale, perché questi virus RNA, così come quello dell’influenza, presentano quello che per gli esseri umani è un ‘difetto’, ma che per i virus stessi diventa un vantaggio: la grande capacità diffusiva che permette loro di espandersi più velocemente e più facilmente.
Il prof. Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, ci spiega perché avvengono queste variazioni e se c’è davvero da allarmarsi.
Perché il virus si modifica
“Questo difetto - spiega il professor Fabrizio Pregliasco - evidenzia in modo assoluto uno dei principi darwiniani, quello relativo al caso e alla necessità: Darwin aveva postulato che esistono mutazioni genetiche (come queste varianti) che giungono per caso, per errore di replicazione, e che se presentano vantaggi per il virus, come, per esempio, una maggior diffusività e contagiosità, prendono il sopravvento.
Esistono attualmente circa 12mila variazioni genetiche delle sequenze depositate nei database elettronici, però alcune sono del tutto irrilevanti perché non sono ‘cruciali’ per la funzionalità del virus.
Non dimentichiamo che il virus è il parassita per eccellenza e che ha bisogno di un ospite per vivere e replicarsi, al solo scopo di sfruttare al massimo le capacità replicative della cellula che sceglie come bersaglio. Inoltre, deve trovare quella mediazione che gli permette di mantenersi in vita: il SARS-CoV-2 non è un virus ‘stupido’, come l’ebola che aggredisce in maniera significativa la persona, talvolta uccidendola e rendendo così il grado di trasmissibilità molto basso.
Il nuovo coronavirus è più subdolo, perché colpisce silente e si diffonde in maniera rapida, costringendo le persone alla quarantena e impedendo loro di svolgere di frequentare posti affollati come, ad esempio, la metropolitana. Questo perché la gran parte delle infezioni è inapparente e ciò rende più difficile il controllo della catena di contagio”.
Le varianti del nuovo coronavirus
Le varianti principali che attualmente circolano sono:
- variante Inglese, Regno Unito (Variante VOC 202012/01, nota anche come B.1.1.7), di cui si stima la presenza in Italia di circa 17,8%;
- variante Sudafrica (Variante 501.V2);
- variante Brasiliana (Variante P.1).
La variante ‘napoletana’
A queste si aggiunge la cosiddetta variante ‘napoletana’ (nota anche come B.1.525) originaria dell’Africa, isolata a Napoli dall’Università Federico II in collaborazione con l’Istituto Pascale e portata nel nostro paese, si presume, da un viaggiatore di ritorno da quelle zone.
Le caratteristiche delle varianti del coronavirus
“Queste varianti presentano diversi aspetti negativi, tra cui una maggiore contagiosità del 30-40% - continua - che dai 10 giorni di malattia pare si arrivi addirittura ai 14.
Inoltre, secondo alcuni recenti episodi di focolai all’interno delle mura scolastiche, sembra che, a differenza della precedente, queste varianti colpiscano (inconsapevolmente) anche i giovani e i bambini, ma essendo questi asintomatici, dovrebbe far scattare l’esigenza di una sorveglianza e un monitoraggio più stretti.
Per questo bisogna tenere prestare estrema attenzione agli spazi a loro dedicati come asili e scuole”.
Rispetto alla versione ‘originale’, queste varianti si differenziano innanzitutto per lo Spike, il famoso uncino che si vede nelle rappresentazioni tradizionali del virus, e che lo agganciano ai recettori ace2 delle nostre cellule, per renderlo più efficiente. Nel caso di queste varianti, la conformazione dello Spike è differente e, per questo motivo, gli anticorpi non solo fanno fatica a riconoscerlo, ma anche ad aggredirlo.
L’efficacia dei vaccini rispetto alle varianti del coronavirus
A oggi, sono attivi studi ad hoc realizzati sia sulla variante inglese, sia su quella brasiliana, che evidenziano come i vaccini attualmente disponibili siano ancora efficaci.
Qualche dubbio sulla variante africana, dove potrebbe esserci una diminuzione dell’efficacia, anche se questo è ancora oggetto di verifiche.
“La sottoscrizione alla campagna vaccinale è fondamentale e invito chiunque ad aderire, quando sarà possibile. Non si esclude, in futuro, la possibilità di procedere con un secondo richiamo - sottolinea -.
Queste tipologie di vaccino, sia dal punto di vista dell’RNA, sia del vettore dell’adenovirus e degli altri vaccini (es. AstraZeneca, Johnson, ReiThera), permetteranno velocemente di aggiornarne la composizione adattandosi alle nuove varianti perché, anche in questo caso, non si avrà la consapevolezza della durata effettiva della protezione conferita”.
Il messaggio che bisogna far passare è che non tutte le variabili sono aggressive e cattive. È necessario monitorare l’andamento dei contagi e, grazie all’applicazione della epidemiologia molecolare, riuscire a costruire degli alberi genealogici del virus, attraverso una fase di sequenziamento (indagine di 2° livello) del virus stesso.
In questo modo è possibile rintracciarne tutte le caratteristiche e determinare un peggioramento dell’armonia.
“Con il sistema Colori (cioè l’identificazione delle regioni italiane rispetto alla contagiosità da Covid) - conclude Pregliasco - siamo senz’altro riusciti a ottenere buoni risultati senza la necessità di ricorrere a un lockdown totale e lungo. È ovvio che quest’ultima sarebbe la soluzione che potrebbe garantire risultati più rapidi, ma bisogna tenere conto dell’impatto e delle conseguenze che avrebbe in termini economici, sociali, ma soprattutto psicologici”.