Osteoporosi e fratture da fragilità: al Galeazzi un percorso dedicato ai pazienti

PUBBLICATO IL 11 SETTEMBRE 2020

Le fratture da fragilità possono essere sintomo di ossa malate e osteoporosi. Da uno studio del Galeazzi un nuovo modello assistenziale post-frattura che mira a prevenire rifratture 

L’osteoporosi è un problema molto importante e sottovalutato, perché con una popolazione che invecchia è destinato a diventare una tematica di grande rilevanza sia in termini di frequenza della malattia, sia in termini di effetti che avrà sulla salute del paziente, sui costi della sanità e sulla vita sociale. 

Uno studio dell’Istituto Ortopedico Galeazzi ha proposto un percorso di prevenzione e sensibilizzazione per ridurre le recidive e le ospedalizzazioni.

Il campanello di allarme: le fratture da fragilità

“La frattura da fragilità, che interessano, per esempio, vertebra, femore, omero, polso o bacino - spiega la prof.ssa Sabrina Corbetta, responsabile del Servizio di Endocrinologia e Diabetologia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi - dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme in merito alla salute delle ossa del paziente. 

La frattura da fragilità, a differenza di una frattura causata da un trauma (es. incidente, caduta da un’altezza superiore a un metro), comporta un trauma minimo a cui non dovrebbe corrispondere una frattura, se lo scheletro in questione fosse sano. Molto spesso, infatti, i pazienti riferiscono di essere caduti dalla posizione in piedi e di essersi fratturati, il che è già strano! 

Un tipo di caduta del genere, in un soggetto sano, causerebbe sì e no una lacerazione o al massimo una contusione, senza però comportare la frattura dell’osso. Questo concetto, purtroppo, non viene percepito dal paziente, soprattutto se anziano e che, con probabilità, presenta una condizione di malattia”. 

L’indagine sullo stato di salute delle ossa e la cura

“A seguito di una frattura da fragilità, l’ortopedico è ovviamente il primo specialista che interviene per ripristinare l’integrità del segmento osseo danneggiato, laddove è possibile. È successivamente che ci si dovrebbe porre il problema del perché l’osso si è rotto e dell’eventualità che questo possa essere malato”, commenta la specialista. 

“L’ortopedico, oltre a sistemare la frattura, spesso non propone terapie mediche specifiche per l’osso danneggiato. Per questo è necessario rivolgersi, in un secondo momento, a uno specialista di osteoporosi, come l’endocrinologo e il reumatologo, che sia in grado di inquadrare il problema e di prescrivere una terapia medica, nutrizionale e riabilitativa mirata con l’obiettivo di prevenire una possibile refrattura e di migliorare lo stato di salute generale del paziente”.

Lo studio del Galeazzi e il nuovo modello assistenziale post-frattura

Proprio alla luce di tutto ciò, è nato il discorso di mettere in piedi uno studio (pubblicato a fine 2019 sulla rivista scientifica International journal of environmental and research and public health) che ha valutato un nuovo modello assistenziale, il Fracture Liaison Service, cioè un’ortopedia non fine a se stessa, ma supportata da una serie di altre figure specialistiche che si occupano degli aspetti metabolici, preventivi e riabilitativi dell’osso malato, nell’ottica di una presa in carico integrata del paziente post-frattura

“È un modello che è stato attentamente studiato, valutato, sperimentato e validato a livello internazionale - continua Corbetta -. Per un certo periodo, in Galeazzi, era stata avviata un’esperienza pilota presso la Divisione di Traumatologia, lavorando sui pazienti ricoverati per frattura del femore o di omero e che sono andati incontro all’intervento per riduzione delle fratture. È stato rilevato che circa il 95% di queste erano causate da fragilità, il che vuol dire che l’osso era già malato e che ha portato alla frattura. 

Noi, come esperti del metabolismo, abbiamo valutato i pazienti con frattura da fragilità nei 5/6 giorni in cui rimanevano in degenza presso la Traumatologia prima di andare in riabilitazione; abbiamo definito i fattori di rischio determinando la stima di un’eventuale recidiva. In seguito, davamo loro l’indicazione, una volta risolto il problema acuto, cioè il rimettersi in piedi, di approfondire la propria condizione clinica e di sottoporsi a esami specifici per indagare una situazione di osteoporosi e per impostare un successivo trattamento anti-rifratturativo

Attualmente sono a disposizione diversi farmaci che hanno dimostrato un’elevata efficacia pari al 50-70% di riduzione del rischio di nuova frattura, rischio elevato nel primo anno dopo il primo evento e che non va sottovalutato. Si parla di prevenzione secondaria”. 

Purtroppo, oggi non c’è ancora la percezione di questa problematica: non c’è né a livello di paziente, né a livello dei vari specialisti, né a livello della Regione. L’unico percorso riconosciuto e condiviso a livello nazionale è la necessità di eseguire l’intervento chirurgico di riduzione di frattura del femore entro le prime 72 ore nei soggetti con frattura del femore da fragilità. La terapia dell’osteoporosi, ovviamente, non guarisce la frattura, ma è come fondamentale per la prevenzione delle rifratture. 

I risultati dello studio 

“Nel corso dello studio pubblicato a fine 2019 - spiega Federico Pennestrì, ricercatore di Innovazioni chirurgiche, farmacologiche e tecnologiche all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi - abbiamo raccolto dati utili sulla tipologia di paziente ricoverato per la frattura del femore presso la divisione di Traumatologia e abbiamo riscontrato che: 

  • solo il 30% circa assumeva vitamina D prima dell’evento frattura; 

  • meno del 50% seguiva una terapia anti-osteoporotica anche dopo aver sperimentato una prima frattura; 

  • la percentuale di pazienti soggetti ad una seconda frattura aumentava di sette volte qualora non avessero svolto alcun accorgimento diagnostico-terapeutico per prevenire una nuova frattura, sebbene il numero di pazienti considerati è ancora contenuto (403)”. 

Il servizio dell’Istituto Ortopedico Galeazzi 

“Il Galeazzi - continua Pennestrì - è la seconda struttura in Italia a pubblicare dati osservazionali originali di questo tipo ed è una delle 12 strutture italiane riportate ufficialmente come best practice a livello mondiale. 

Il modello di riferimento è il Fracture Liaison Service proposto dalla International Osteoporosis Foundation, che consiste nell’erogare tutte le attività diagnostico-terapeutiche necessarie ad una corretta prevenzione all’interno della stessa struttura ospedaliera. L’efficacia del servizio varia infatti in base al livello di integrazione delle ‘3 I’

  1. IDENTIFICARE il paziente a rischio;
  2. INVESTIGARNE l’effettiva sussistenza;
  3. INIZIARE il trattamento. 

Grazie alla collaborazione fra le Unità di Traumatologia e di Endocrinologia, Galeazzi garantisce l’erogazione di ciascuno dei trattamenti raccomandati”.

I benefici sono stati molteplici, non solo per i pazienti ma anche per gli operatori. “In questo modo - conclude Pennestrì - il paziente ha la possibilità di attuare misure efficaci di prevenzione all’osteoporosi e a eventuali fratture da fragilità, ma anche, una volta entrati in ospedale, di essere presi in carico per tutto il percorso dal personale multispecialistico. 

Vi sono vantaggi anche per l’erogatore che, garantendo un servizio integrato e di qualità, guadagna in affidabilità; il finanziatore, laddove risparmia sui costi legati alle riammissioni e complicazioni prevenibili; e per la società, dato il peso assistenziale umano, economico e sociale che viene risparmiato alle famiglie che si trovano a sostenere queste difficoltà”.

Cura e Prevenzione