Come si cura il coronavirus? Cure sempre più evolute e personalizzate in Terapia Intensiva
PUBBLICATO IL 15 APRILE 2020
Dalla sperimentazione con il farmaco tocilizumab all’utilizzo dell’ECMO, il Policlinico San Donato offre ai pazienti gravi affetti da COVID-19 le cure e le conoscenze cliniche più avanzate.
Sono passati poco meno di due mesi dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus in Italia. Parallelamente alla crescita di contagiati, è aumentata anche la conoscenza medica della malattia e la messa a punto di cure sempre più evolute e personalizzate.
Proprio come avviene nella Terapia Intensiva del Policlinico San Donato, che offre cure e percorsi clinici sempre più personalizzati per il COVID-19. Il reparto con i suoi 28 posti letto rappresenta oggi uno tra i più grandi reparti della sanità privata lombarda dedicati all’emergenza sanitaria.
Il Dott. Marco Ranucci, responsabile dell’Anestesia e Terapia Intensiva Cardiochirurgica dell’IRCSS Policlinico San Donato, spiega la situazione dei pazienti in Terapia Intensiva e l’evoluzione delle cure.
COVID-19: cure sempre più personalizzate
“I pazienti arrivano da noi perché non sono più in grado di respirare autonomamente - spiega il dottor Ranucci -.
Se all’inizio eravamo poco preparati a questo tipo di malati e li abbiamo curati tutti allo stesso modo, facendo riferimento alle indicazioni dei primi colleghi sul campo, ora abbiamo messo a punto dei trattamenti diversi e personalizzati.
I pazienti non sono tutti uguali: sebbene l’organo bersaglio sia per tutti il polmone, abbiamo potuto analizzare con il tempo altri fattori collaterali, extra-polmonari, che li indirizzano a percorsi di cura piuttosto diversi.
Noi, tra i primi, abbiamo evidenziato che in molti pazienti sono presenti attività pro-coagulanti che causano severe patologie tromboemboliche. Per individuare il miglior approccio terapeutico, facciamo riferimento ai parametri individuali della coagulazione”.
Come cambia la gestione del paziente COVID
“Dal punto di vista umano - aggiunge il medico -, la gestione dei pazienti COVID è molto più complessa rispetto a quanto eravamo abituati a vedere precedentemente in terapia intensiva.
Per curarli veramente bene c’è bisogno di un numero di medici superiore rispetto al solito: qui ogni 10 malati ci sono due medici specialisti e uno specializzando. In molti centri la gestione è più difficoltosa perché non ci sono abbastanza medici intensivisti e, purtroppo, alcuni di questi si sono ammalati.”
L’esperienza sui fattori demografici
Esistono dei fattori demografici prevalenti tra i pazienti che sviluppano la malattia nel modo più grave:
“L’85% dei malati sono uomini e il 25% sono obesi: evidentemente lo stato infiammatorio alla base dell’obesità peggiora la prognosi - spiega l’esperto -.
A oggi possiamo dirci soddisfatti: dopo una prima fase dove brancolavamo nel buio, ora abbiamo codificato dei percorsi clinici. Tra i 30 pazienti che ho seguito ci sono state purtroppo delle perdite, soprattutto nella fase iniziale, a causa di quadri clinici molto compromessi. Ho potuto, tuttavia, assistere alla dimissione e alla guarigione di numerosi malati, più di dieci al momento, e altri sono sulla buona strada.
La prima paziente che ho dimesso era una donna di 73 anni, la più anziana: ora sta bene e prosegue il ricovero in reparto”.
L’esperienza della cardiochirurgia e l’ECMO Center
Molti dei posti letto della Terapia Intensiva si trovano dove prima erano ricoverati i pazienti post-intervento di cardiochirurgia, specialità d’eccellenza del Policlinico San Donato.
Proprio questa grande esperienza ha permesso a medici intensivisti, perfusionisti e infermieri di applicare conoscenze avanzate nella gestione dei pazienti critici e di diventare centro di riferimento per i pazienti che necessitano dell’ECMO (Extra Corporeal Membrane Oxygenation), una tecnica di circolazione extracorporea che supporta la funzione polmonare.
“Anche nei pazienti affetti da coronavirus c’è una componente emodinamica e cardiaca, soprattutto a carico del ventricolo destro, nella fase acuta della malattia - approfondisce il dottor Ranucci, che con la sua équipe era abituato a trattare il malato cardiopatico, durante e dopo l’intervento cardiochirurgico - .
Sebbene la patologia polmonare possa incorrere anche nel paziente cardiopatico, ci siamo trovati a trattare una tipologia di pazienti molto diversa.
Ci ha aiutato moltissimo l’esperienza in ambito emostatico-coagulativo (relativa al processo di coagulazione del sangue) che abbiamo sviluppato in cardiochirurgia per tanti anni, grazie alla quale stiamo conducendo dei test molto avanzati nei pazienti.
Inoltre siamo un ECMO Center, ovvero centro in grado di supportare i casi più gravi di insufficienza cardio-respiratoria, dotato di macchinari e personale specializzato, i perfusionisti, qualificati per assistere i pazienti in circolazione extra-corporea”.
I percorsi di cura
“Abbiamo definito un percorso molto preciso per codificare la strada del paziente. Quando il malato entra in Terapia Intensiva effettuiamo una prima valutazione sulla base di due parametri: la radiografia dei polmoni e
il livello di ossigenazione del sangue.
Coloro che presentano un quadro accettabile vengono supportati meccanicamente nella respirazione e, se le condizioni migliorano entro 8-10 giorni, iniziamo il cosiddetto ‘svezzamento’.
Si tratta del percorso a ritroso tra le tappe di assistenza respiratoria:
- l’estubazione;
- l’utilizzo di un dispositivo CPAP (la ventilazione meccanica a pressione positiva continua, in inglese Continuous Positive Airway Pressure),
- la degenza in reparto, a seguire.
Se invece le condizioni cliniche del paziente non migliorano, procediamo con la tracheotomia”.
L’utilizzo dell’ECMO, la macchina di circolazione extra-corporea
Purtroppo ci sono pazienti che entrano in Terapia Intensiva con un quadro estremamente compromesso:
“Li sottoponiamo a dei cicli di pronazione e, se non rispondono ai trattamenti, valutiamo il posizionamento dell’ECMO, una tecnica che, utilizzando la circolazione extra-corporea, mette completamente a riposo i polmoni e si sostituisce alla loro funzione.
Poiché è un trattamento estremamente invasivo, dobbiamo valutare l’età del paziente ed eventuali fattori che possono controindicarlo, come nel caso di funzioni epatiche o renali non ottimali.
A oggi abbiamo trattato 4 pazienti in ECMO, alcuni molto giovani, inviati da altri centri della Lombardia sulla base di accordi con il centro di coordinamento regionale.
La presenza di un ECMO Center e di un team di 5 perfusionisti ci consente di mettere a disposizione per i pazienti più gravi questa tecnica avanzata e salva-vita”.
Sperimentazioni farmacologiche e contatto con i centri internazionali
“Siamo entrati a far parte dello studio multicentrico per la sperimentazione del tocilizumab - spiega lo specialista - il farmaco solitamente utilizzato per l’artrite reumatoide, che somministriamo sia ai pazienti in reparto che ai pazienti intubati da meno di 24 ore.
Stiamo inoltre conducendo uno studio monocentrico che si basa sull’osservazione dei fattori di emostasi e coagulazione, in fase di pubblicazione.
In questo momento l’Italia è un modello clinico di riferimento. Sono in costante contatto con i più grandi centri statunitensi, come la Cleveland Clinic e la Mayo Clinic: li aggiorniamo sui nostri approcci terapeutici, in continua evoluzione e progressivo miglioramento.
Ci auguriamo possano dare un contributo fondamentale nel salvare il numero più alto possibile di vite umane”.