Con l'osteosintesi si rendono stabili i frammenti ossei di una frattura tramite l'utilizzo di mezzi metallici

PUBBLICATO IL 09 GENNAIO 2019

Anche a dispetto della standardizzazione di un buon numero di procedure e tecniche, però, in ambito traumatologico ogni evento o frattura rappresenta un caso a sé che deve essere gestito in maniera specifica. Ad ognuno, quindi, la propria osteosintesi.

I progressi tecnologici devono necessariamente andare a braccetto con l’evoluzione e l’affinamento delle competenze dei professionisti. Ed è questo il motivo di fondo che accompagna anche il percorso di crescita e sviluppo delle procedure mininvasive di osteosintesi in traumatologia. Come ci ha spiegato il dott. Giovanni Bonaspetti, Responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia sez. II dell’Istituto Clinico S. Anna, “la tendenza alla mininvasività è comune a una varietà di tecniche chirurgiche in ortopedia e non solo. L’obiettivo è ridurre al minimo l’aggressione chirurgica e, per conseguenza, contenere il più possibile il rischio di danni ai tessuti. Tutto questo per consentire il raggiungimento di altri target non meno importanti: il rispetto dell’anatomia, la velocizzazione della ripresa funzionale e la riduzione di perdite ematiche e rischi infettivi. Chiaramente più ampia è l’apertura praticata, maggiori saranno i rischi a carico dei pazienti. L’accezione mininvasiva, dunque, si applica a tutte le tecniche in grado di evitare di aprire completamente il focolaio di frattura ricorrendo, a seconda delle situazioni, a mezzi di sintesi differenti. Da un lato i chiodi endo-midollari, dall'altro le placche a scivolamento, posta naturalmente la necessità di effettuare preliminarmente in sala operatoria opportune radiografie tramite la tecnica della fluoroscopia. 

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