Quando ricorrere a una protesi di ginocchio?

PUBBLICATO IL 22 MAGGIO 2017

Fresco di primato per aver realizzato, in Italia, il maggior numero di interventi di protesi di ginocchio nel 2013 (fonte: “Programma Nazionale Valutazione Esiti” di AGENAS), l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi rappresenta un vero e proprio punto di riferimento in questo ambito sia per i pazienti sia per gli “addetti ai lavori”.
A questo proposito, il dottor Nicola Ursino, responsabile dell’U.O. di Chirurgia Articolare Sostitutiva e Chirurgia Ortopedica (C.A.S.C.O.) all’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, fa una panoramica sulla protesica di ginocchio spiegandone le cause che potrebbero portare a questo tipo di intervento, ormai appannaggio anche di un target di età più giovane.
“La protesi di ginocchio è una procedura chirurgica che permette di rivestire le cartilagini dell’articolazione in questione, quando queste sono deteriorate. Esistono anche condizioni in cui non per forza è la cartilagine ad andare in sofferenza bensì l’osso sottostante a essa che cede provocando un’interruzione della cartilagine. Quando non è più possibile intervenire tramite pratiche mediche, infiltrative o riabilitative (le quali sono sempre e comunque il primo approccio alla patologia artrosica del ginocchio) subentra l’intervento chirurgico di resurfacing tramite la rimozione della cartilagine malata e la sostituzione con componenti in lega di cobalto molibdeno. Tra le cause che possono portare a una protesizzazione di ginocchio, senza dubbio, si riscontrano le patologie degenerative della cartilagine (es. artrosi) che costituiscono l’80% dei casi, così come per le malattie autoimmuni (es. artrite reumatoide, artrite psoriasica…) in cui l’organo-bersaglio è rappresentato dalla membrana sinoviale che ricopre in ginocchio producendo il liquido che nutre la cartilagine. L’aggressività da parte del sistema immunitario sulla membrana sinoviale fa sì che venga colpita anche la cartilagine che va, così, incontro a degenerazione. Esistono, inoltre, malattie di sofferenza dell’osso che possono portare a una protesi (es. osteocondriti) e, infine, in percentuali molto basse, problematiche post traumatiche come, ad esempio, le fratture traumatiche del piatto tibiale. In quest’ultimo caso, qualora la chirurgia ortopedica non fosse sufficiente, si opterebbe per una procedura di tipo protesico. In caso di soggetti giovani, si cerca, per quanto possibile, di procrastinare l’intervento procedendo con terapie conservative (infiltrazioni di acido ialuronico, tecniche che utilizzano fattori di crescita tissutale)”.
“Le protesi di ginocchio – continua il dottor Ursino - si dividono in due gruppi: le monocompartimentali, che rivestono esclusivamente un compartimento (normalmente sono tre: interno, esterno e la femoro-rotulea) del ginocchio e le totali, le quali, a loro volta si dividono in protesi con il risparmio del legamento crociato posteriore e protesi con il sacrificio del legamento crociato posteriore. Da qualche anno, le grandi aziende stanno proponendo protesi che si presentano con il risparmio completo dei crociati. Inoltre alcune protesi in commercio sono realizzate sempre in cobalto molibdeno con una piccola percentuale di nichel che, in caso di intolleranza del paziente al metallo, verrebbe rivestita con polvere di titanio ceramizzata ad alte temperature in maniera tale da impedire all’organismo di entrare in contatto con questa lega. Le protesi possono essere cementate e non cementate, la prima delle quali è quella che viene utilizzata più frequentemente per le protesi di ginocchio. Se lasciassimo da parte quelle che sono le complicanze generiche di un intervento chirurgico (infezioni, tromboembolie…), ve ne sono alcune che si verificano specificatamente durante l’intervento chirurgico come, ad esempio, le fratture intraoperatorie, seppur piuttosto rare. Molto importanti sono il posizionamento e il design della protesi: grazie ai nuovi strumentari, oggi, esistono diversi modelli e misure di protesi (maschili e femminili), i quali si adattano sempre più alle tecniche mininvasive, restituendo anche una corretta cinematica del ginocchio. Nel periodo post chirurgico, le protesi monocompartimentali di ginocchio hanno, senz’altro, un percorso più celere rispetto a una protesi totale. Tanto più il chirurgo sarà attento, minore sarà la sintomatologia dolorosa; tanto più esperto sarà il personale di riabilitazione post operatoria (per la quale l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi possiede una palestra dedicata proprio al recupero in seguito a protesizzazione), tanto più veloce sarà la ripresa”.
“Al termine dell’intervento – conclude - il paziente viene portato all’interno di una recovery room dove, tramite uno speciale apparecchio, viene aiutato a sollevare e a muovere il ginocchio protesizzato; il giorno successivo il soggetto, se le condizioni cliniche generali lo permettono, viene messo già in piedi a camminare con l’ausilio di stampelle per circa un mese, in modo tale da dare tempo all’osso di adattarsi all’appoggio della nuova protesi. Esistono diversi momenti di riabilitazione: una immediatamente dopo l’intervento e altri dedicati alla dinamica e all’armonia del passo, al potenziamento muscolare e al recupero della proprioccettività (cioè quella sensazione per la quale il paziente a un certo punto non sente più la protesi). Ottima una costante attività fisica, prediligendo nuoto, bicicletta o tennis”.

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