Prevenzione del tumore al seno: lo screening e i suoi limiti

PUBBLICATO IL 27 APRILE 2017

"In Italia, ogni anno - spiega il Professor Francesco Sardanelli, responsabile dell’U.O. di Diagnostica per immagini dell’IRCCS Policlinico San Donato - sono diagnosticati circa 50.000 nuovi casi di tumore mammario. Si tratta di dimensioni che implicano conseguenze non solo sul piano sanitario ma anche su quello sociale.

Molti studi hanno dimostrato come una diagnosi precoce che riconosca il tumore prima che questo diventi palpabile o che dia sintomi specifici come, ad esempio, la secrezione ematica dal capezzolo permette una terapia precoce più efficace (cui consegue aumento della sopravvivenza) e meno aggressiva (minore frequenza di interventi di mastectomia). La letteratura internazionale - continua - ha mostrato come, per donne di età compresa tra i 50 e i 70 anni, il sottoporsi a una mammografia periodica riduca la mortalità di circa il 40%. Ogni mille donne che eseguono la mammografia ogni due anni, 8 salveranno la propria vita per effetto della diagnosi precoce.

La recente decisione della Regione Lombardia di estendere la copertura dai 45 ai 74 anni indica la consapevolezza dell’efficacia di questo programma di salute pubblica. La mammografia (in pratica, una radiografia della mammella) è eseguita con un apparecchio dedicato, il mammografo. Il tecnico di radiologia effettua l’indagine esercitando una compressione prima di una e poi dell’altra mammella al fine ottenere due proiezioni (cranio-caudale e medio-laterale-obliqua) per ciascun lato. La quantità di radiazioni è modesta. È importante distinguere tra lo screening organizzato - alla quale la donna è invitata mediante lettera della ASL - e lo screening spontaneo. Lo screening organizzato, a differenza di quello spontaneo, è sottoposto a una serie di controlli di qualità e prevede la doppia lettura indipendente della mammografia. Sono due, infatti, i radiologi che leggono l’esame consentendo un incremento della capacità del test di riconoscere il tumore pari a circa il 10-15% rispetto alla lettura di un solo radiologo.

L’adesione allo screening organizzato è importante per la donna perché è in quel percorso che siamo in grado di prendere in carico la paziente, dalla diagnosi alla terapia (chirurgica e, se necessario, anche radioterapica e/o chemioterapica), ai controlli che seguiranno nel tempo. È importante che la donna aderisca allo screening in modo consapevole. La Società Italiana di Radiologia Medica sta promuovendo una campagna in tal senso.

Vogliamo dire alle donne che ‘la mammografia può salvare la vita ma non è un vaccino’. Riduciamo la mortalità in modo consistente ma non impediamo l’insorgenza del tumore. Una quota di tumori (intorno al 30%) non è riconoscibile alla mammografia: sintomi come il nodulo palpabile, anche se insorti poco dopo una mammografia negativa, meritano sempre una valutazione urgente con mammografia e/o ecografia. Il sospetto alla mammografia di screening corrisponde alla reale presenza di tumore solo in una parte ridotta dei casi, sono quindi necessari esami di approfondimento anche in numerosi casi nei quali non vi è tumore. Infine, lo screening porta alla diagnosi anche di tumori a crescita molto lenta che tuttavia devono essere trattati anche se, in assenza dello screening, non si sarebbero mai manifestati (sovradiagnosi). Nonostante questi limiti, il bilancio pende a favore dell’adesione allo screening per i suoi effetti di riduzione della mortalità e dell’aggressività dei trattamenti. La mammografia di screening è indicata solo a partire dai 45 anni di età (e comunque non prima dei 40) perché l’incidenza di tumore alla mammella in età giovanile è molto bassa.

Fanno eccezione le famiglie cosiddette ad alto rischio. In queste famiglie, i tumori mammari in età giovanile (prima dei 40 anni) e comunque prima della menopausa, i tumori bilaterali e i tumori della mammella maschile sono molto più frequenti. Più si osserva precoce insorgenza, maggiore è il rischio di familiarità su base genetica. Tre o più casi di tumore alla mammella prima dei 60 anni nei familiari di primo e secondo grado nella linea di parentela materna o paterna comportano un sospetto elevato di una mutazione genetica associata a maggiore frequenza e precocità della malattia. Per quanto riguarda ulteriori accertamenti - conclude il prof. Sardanelli - la visita senologica è molto rassicurante per la donna anche se dobbiamo sempre tenere a mente che lo scopo della diagnosi precoce è trovare il tumore prima che sia palpabile.

L’ecografia è utile come approfondimento nei casi di lesione palpabile, in presenza di reperti sospetti alla mammografia e nel caso di mammelle dense nelle quali per cui la mammografia ha minore sensibilità. L’ecografia, inoltre, svolge un ruolo fondamentale nel guidare il posizionamento dell’ago nella lesione quando il radiologo esegue l’agobiopsia”.

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