Malattia aterosclerotica coronarica: un nuovo intervento chirurgico ibrido e mininvasivo riduce i rischi per i pazienti

PUBBLICATO IL 07 NOVEMBRE 2023

Avviata al San Raffaele la procedura di rivascolarizzazione miocardica ibrida per il trattamento della patologia ischemica del cuore

Con una staffetta combinata tra cardiochirurghi ed emodinamisti, all’IRCCS Ospedale San Raffaele è stata messa a punto la tecnica di rivascolarizzazione miocardica ibrida (HCR) per il trattamento della malattia aterosclerotica coronarica, una patologia invalidante che continua a essere la principale causa di morte in Italia.

 

La malattia aterosclerotica coronarica

La malattia aterosclerotica coronarica è una patologia a carico delle arterie del circolo coronarico, responsabili del trasporto di sangue e ossigeno al cuore, ed è caratterizzata dalla formazione di accumuli lipidici (placche) che determinano restringimenti e occlusioni. Questa patologia, oltre ad essere molto frequente nella popolazione, progredisce con il passare degli anni.

La malattia può rimanere silente o stabile nel corso della vita del paziente, non determinando sintomi o eventi acuti, ma, nella maggior parte dei casi, può sfociare in patologie più severe, manifestandosi come angina o infarto miocardico acuto, caratterizzate da dolore toracico e mancanza di fiato. Quando l’ischemia è grave, se non trattata precocemente, si va incontro alla necrosi di una parte del muscolo cardiaco, il cosiddetto infarto del miocardio.

 

L’intervento tradizionale

I trattamenti classici per questa patologia sono: 

  • l’intervento cardiochirurgico di bypass coronarico (CABG) in sternotomia mediana con la circolazione extracorporea ed eventuale arresto cardiaco; 
  • l’angioplastica coronarica (PCI)

Nel primo caso si procede con il prelievo di arteria mammaria interna e di un segmento di vena grande safena, che vengono utilizzate per bypassare le stenosi coronariche; nel secondo caso, invece, attraverso l’arteria radiale viene introdotto un catetere che permette di dilatare il punto in cui è presente l’occlusione e posizionarvi uno stent.

I limiti dell’intervento cardiochirurgico tradizionale sono: 

  • la grande invasività; 
  • la necessità di un ricovero prolungato.

Invece, i limiti dell’angioplastica coronarica sono: 

  • la precoce recidiva di malattia; 
  • la necessità di ripetere la procedura di rivascolarizzazione.

 

L’intervento cardiochirurgico mininvasivo ibrido 

La procedura di rivascolarizzazione miocardica ibrida, messa a punto dai cardiochirurghi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele diretti dal professor Francesco Maisano, prevede un intervento combinato di cardiochirurgia attraverso il bypass coronarico e l’intervento di angioplastica coronarica percutanea con stent

Questo tipo di operazione permette di associare i benefici a lungo termine del bypass coronarico mininvasivo del principale ramo coronarico, l’arteria interventricolare anteriore bypassata con l’arteria mammaria interna, al trattamento di angioplastica dei restanti rami coronarici.

Afferma il dottor Andrea Blasio, responsabile dell’Unità Funzionale Tecniche Chirurgiche Mininvasive all’interno dell’Unità di Cardiochirurgia dell’Ospedale San Raffaele: “La personalizzazione di questo tipo di intervento è data dal fatto che possiamo decidere con quali tempistiche e come eseguire i 2 step dell’intervento: prima la parte cardiochirurgica e successivamente la parte percutanea”. 

Continua la dottoressa Marta Bargagna, cardiochirurga: “L’ottimizzazione è data dal fatto che per l’arteria interventricolare anteriore viene eseguito il trattamento chirurgico di bypass con arteria mammaria interna, che al momento è riconosciuto come il migliore in assoluto in quanto a durata e riduzione della mortalità, allo stesso tempo evitando la sternotomia e l’arresto cardiaco derivati dall’eseguire un trattamento totalmente chirurgico”.

 

I vantaggi dell’intervento ibrido

“I vantaggi sono molteplici: 

  • ridotta invasività (una ferita chirurgica più piccola) rispetto all’intervento completamente chirurgico tradizionale; 
  • tempo di ospedalizzazione. Il paziente recupera più velocemente la sua autonomia e dopo una settimana può tornare a casa e riprendere le proprie attività. 

Questa tecnica, eseguita solo in 2-3 centri in tutta Italia, permette la personalizzazione e l’ottimizzazione del trattamento di rivascolarizzazione, un’opzione terapeutica valida soprattutto per pazienti più fragili e con più co-patologie croniche o invalidanti”, spiega il dottor Andrea Blasio.

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