Alimentazione degli astronauti e dei pazienti ortopedici: soluzioni comuni
PUBBLICATO IL 18 MARZO 2021
Le esigenze nutrizionali di astronauti e pazienti ortopedici allettati per lungo tempo sono simili e possono avere soluzioni nutrizionali comuni. Lo rivela uno studio del Galeazzi.
Sin dallo sbarco sulla Luna, le scienze della nutrizione hanno cercato di studiare come garantire la salute degli astronauti nello spazio. Anni più tardi, gli studi in nutrizione si sono affiancati alle scienze ortopediche, spinti dalla necessità di migliorare l’efficienza del percorso di cura ottimizzando il recupero post-operatorio. Benché gli studi sulle esigenze nutrizionali dei viaggiatori spaziali e dei pazienti ortopedici possano sembrare due distinti ambiti di ricerca, entrambi indagano su problemi simili e potrebbero quindi applicare soluzioni analoghe.
Questo è il topic dell’articolo del dottor Matteo Briguglio, nutrizionista ricercatore dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, pubblicato recentemente su Nutrients con il titolo Nutritional Orthopedics and Space Nutrition as Two Sides of the Same Coin: A Scoping Review ovvero “Gli aspetti nutrizionali in comune tra il paziente ortopedico e l'astronauta”.
I pericoli dello spazio profondo
“La struttura a spirale della nostra galassia (la Via Lattea) contiene stelle, pianeti, gas e polveri tenuti insieme da forze gravitazionali. Il nostro corpo si è evoluto sul pianeta Terra in una costante gravità di 1 g che ha condizionato il nostro apparato muscolo-scheletrico, cardiovascolare, e il sistema neuro-vestibolare, plasmando così la nostra percezione degli spazi aperti e del nostro corpo - spiega il dott. Briguglio -.
Durante i voli spaziali a breve termine, la maggior parte delle cellule del nostro corpo subisce regolarmente dei processi accomodativi. Tuttavia, più ci si allontana dalla Terra tanto più i nostri sistemi corporei saranno esposti a stress fisici e mentali prolungati”.
I fattori di stress nello spazio sono:
- Microgravità. L’assenza di forze eccentriche nel vuoto espone a perdita di volume e forza muscolare con modificazioni nella composizione delle fibre muscolari e nella rete capillare. Tale decondizionamento neuromuscolare si associa all’involuzione dello scheletro, quest’ultima dovuta non solo alla mancanza di forze meccaniche, ma anche dalla ridotta esposizione solare. L’assenza di peso si associa anche a squilibri gassosi, cardiovascolari, e quindi di perfusione.
- Radiazioni. Nello spazio non è possibile coltivare piante alla luce del sole. Sia le particelle ad alta energia cariche di ioni pesanti, sia quelle solari possono causare instabilità del genoma, cancerogenesi, degenerazione dei tessuti e disturbi comportamentali nell’uomo. Inoltre, lo stress ossidativo derivato da queste radiazioni comprometterebbe ulteriormente la stabilità ossea e accelererebbe l’involuzione dello scheletro.
- Confinamento. La permanenza prolungata nello spazio chiuso dell’astronave espone gli astronauti a potenziali situazioni ipobariche/ipossiche e decrementi cognitivi che minano il benessere dell’intero equipaggio. Inoltre, anche se l’astronave o la stazione spaziale è provvista di illuminazione artificiale, l’esposizione a diverse emissioni luminose esterne e differenti fusi orari è facile che alteri il ritmo circadiano. Alterazioni umorali e disturbi del sonno potrebbero essere inevitabili.
I pericoli della prolungata ospedalizzazione
L’invecchiamento è intrinsecamente associato a impoverimento alimentare, involuzione muscoloscheletrica, irrequietezza e progressiva riduzione della capacità di far fronte a problemi fisici e fattori di stress psicologico.
“Questa ridotta resilienza tende a peggiorare durante il prolungato ricovero ospedaliero che è normalmente associato ad un decondizionamento - continua -. I primi studi sugli effetti di una prolungata immobilità furono condotti proprio dall’agenzia spaziale americana negli anni ‘70. Attualmente, i protocolli di recupero post-operatorio in ortopedia tendono quindi a essere fast-track (riduzione della degenza ospedaliera), proprio per minimizzare i rischi associati al ricovero”.
Questi i fattori che incidono sui pazienti ortopedici nei ricoveri prolungati:
- Allettamento. Quando il corpo è sdraiato per lunghi periodi, le valvole del sistema circolatorio hanno più difficoltà a ridurre gli spostamenti gravitazionali dei fluidi. Il volume plasmatico diminuisce e aumenta quindi il rischio di cadute da sincope. Inoltre, l’immobilità accelera la perdita ossea e muscolare, causa osteosarcopenia e aumenta il rischio di fratture da fragilità. L’allettamento è anche associato ad affezioni del sistema gastrointestinale tra cui reflusso gastroesofageo, scarso appetito, rallentata peristalsi e costipazione.
- Stress chirurgico. L’incisione chirurgica provoca non solo lesioni locali (ad esempio, ferita, infiammazione, attivazione neuroendocrina) ma anche attivazioni sistemiche (ad esempio, ormoni dello stress) che causano una degradazione delle proteine del muscolo scheletrico, disbiosi, e disturbi psicologici. Inoltre, il dolore chirurgico e la nausea post-operatoria diminuiscono ulteriormente l’appetito e quindi l’introito alimentare.
- Isolamento. La dieta ospedaliera è inevitabilmente diversa da quella casalinga a cui il paziente può essere abituato, e nuove routine per i tempi dei pasti e le ore di sonno sono cambiamenti notevoli soprattutto per il paziente anziano. La solitudine scaturisce da un limitato accesso dei visitatori, cambi di turno del personale, o trasferimenti. Inoltre, le scarse interazioni con l’ambiente al di fuori della stanza si associano a deprivazione sensoriale, con conseguenti rischi di disorientamento spaziale, delirio, e declino cognitivo.
La malnutrizione negli astronauti e nei pazienti ortopedici
Molti dei processi degenerativi nello spazio hanno diverse caratteristiche comuni con malattie del paziente anziano ortopedico sulla Terra, inclusi:
i cambiamenti nella composizione corporea,
- l’osteosarcopenia (perdita di massa muscolare e ossea);
- il rischio di fratture osteoporotiche;
- la fragilità nutrizionale;
- il ridotto introito alimentare;
- le malattie cardiovascolari;
- i disturbi neuropsichiatrici.
Di conseguenza, affrontare i processi degenerativi dovuti a una prolungata permanenza nello spazio potrebbe condividere molte delle soluzioni nutrizionali operate dal Nutrizionista Ortopedico nel sostenere il paziente ortopedico nel suo percorso di cura sulla Terra.
“Prima di tutto, è ragionevole credere che tanto migliore sarà lo stato nutrizionale prima della partenza (così come prima della chirurgia elettiva) tanto più a lungo il viaggiatore spaziale sopporterà le difficili condizioni ambientali (così come il paziente ortopedico sarà più in grado di contrastare il decondizionamento post-operatorio) - afferma il ricercatore -.
Inoltre, gli astronauti come i pazienti ortopedici dovrebbero avere un introito dietetico giornaliero che soddisfa i fabbisogni energetici e nutritivi, fornendo adeguati introiti di liquidi e fibre. Infatti, sia l’astronauta sia il paziente ortopedico soffrono spesso di costipazione. Integratori alimentari per contrastare l’osteosarcopenia sono usati in ambito ortopedico e dovrebbero (e in parte lo sono già) essere usati nei viaggi spaziali (es. vitamina D, il calcio, gli aminoacidi).
Infatti, il paziente che perde muscolo dopo un’operazione chirurgica è più a rischio di cadere. Similmente, l’involuzione scheletrica è deleteria anche per gli astronauti che, nel concepibile atterraggio su pianeti inesplorati come Marte, sarebbero esposti a rapidi passaggi da bassa a ipergravità e quindi a fratture se l’osso è fragile. Non è un bene infatti fratturarsi l’anca durante l’atterraggio su un pianeta alieno. La manipolazione del cibo nei pazienti ortopedici (es. la consistenza modificata o l’aggiunta di aromi alimentari) aiuta a contrastare l’anoressia geriatrica che comprende disfagia e iposmia”.
Similmente, anche il cibo degli astronauti deve essere manipolato, dovendo essere compatto per evitare che si disperda o che si sbricioli nel vuoto (le bevande gasate, ad esempio, non si possono bere nello spazio). È interessante sapere che anche gli astronauti hanno difficoltà a percepire gli odori perché le molecole diffondono diversamente nella microgravità e i fluidi corporei si posizionano in alto causando congestione nasale.
Come faranno le future missioni a durare anni? “Sfortunatamente, rimane incertezza su come contrastare questi decadimenti soprattutto nel lungo termine - conclude Briguglio -. Con le attuali conoscenze, tanto più ci allontaniamo dal picco di massa ossea tanto più siamo destinati a cadere e, similmente, dobbiamo ammettere anche che tanto più ci avviciniamo ai mondi alieni, tanto più deboli saranno le nostre ossa”.
Per leggere l’articolo, cliccare al link: https://www.mdpi.com/2072-6643/13/2/48