Sindrome Compartimentale cronica dell’avambraccio: cos’è e come si cura

PUBBLICATO IL 02 LUGLIO 2021

La sindrome compartimentale dell’avambraccio è una patologia tipica degli sportivi, in particolare dei motociclisti e dei canoisti. Lo specialista di Zucchi Wellness Clinic spiega come trattarla.

 

La Sindrome Compartimentale Cronica dell’Avambraccio tra gli sportivi viene definita “la malattia dei piloti di moto”, perché colpisce chi sforza ripetutamente e intensamente l’avambraccio, e sono molti i top rider che ne hanno sofferto. 

 

Si tratta di una patologia invalidante per chi passa molte ore in sella tra competizioni e allenamenti, in grado di compromettere le performance, se non addirittura, di valutare l’abbandono della pratica sportiva. 

 

Ne parliamo con il dott. Loris Pegoli, Responsabile del Centro della Mano sportiva di Zucchi Wellness Clinic

 

Le cause

“La causa principale è l’aumento della massa muscolare dell’avambraccio che non riesce più a espandersi oltre un determinato limite, causando una compressione di tutte le altre strutture presenti nell’avambraccio come:

  • nervi;
  • vasi sanguini.

 

Questo porta all’impossibilità nel proseguire il gesto sportivo”, spiega il chirurgo ortopedico.

 

I sintomi

I sintomi tipici di questa patologia sono:

  • formicolii;
  • addormentamento;
  • perdita di forza;
  • sensazione di pesantezza.

 

La diagnosi

“La diagnosi - continua Pegoli - si basa prevalentemente sul quadro clinico. Si interroga il paziente su:

  •  come insorge questo fastidio;
  •  da quando tempo lo ha;
  •  quali sono le caratteristiche;
  •  se si risolve quando termina l’attività. 

 

Spesso i pazienti arrivano mesi, se non anni dopo aver fatto tutti gli esami e le terapie possibili, senza avere però una diagnosi, in quanto qualsiasi esame fatto a riposo risulta negativo

 

C’è poi la metodica per misurare la pressione dell’avambraccio, ma non è sempre efficace, spesso può dare dei falsi negativi o positivi, perché viene eseguita a riposo e non sotto sforzo quando compaiono i sintomi. 

 

Una diagnosi valida può essere fatta con dei test clinici semplici che si possono fare in ambulatorio come ad esempio sforzare l’avambraccio con una pallina. Questo, messo insieme alla storia clinica del paziente e all’esame obiettivo fatto da uno specialistica, permette di inquadrare la patologia” segnala Pegoli.

 

Il trattamento chirurgico con la Fasciotomia

Il trattamento conservativo nella maggior parte dei casi risulta inefficace e purtroppo non esiste una vera forma di prevenzione. 

“L’unico trattamento che va a liberare l’avambraccio è quello chirurgico, con la fasciotomia, e consiste nel sezionare la struttura anatomica chiamata ‘fascia’, che è il tessuto che va ad avvolgere i muscoli, per creare maggior spazio”.

 

La tecnica  può essere effettuata:

  •  a cielo aperto;
  •  in via endoscopica. 

 

La fasciotomia in via endoscopica

“Quest’ultima è la tecnica migliore perché:
 

  •  crea meno aderenze e quindi meno recidive;
  •  permette di riprendere in pieno l’attività sportiva dopo 2 settimane

 

Si tratta di un intervento dove l’anestesia è plessica, cioè locale periferica e il taglio è di circa 1 centimetro”, dichiara Pegoli.

Subito dopo l’operazione il paziente può iniziare già a muovere l’avambraccio e tornare alla propria attività agonistica, in modo graduale, dopo 7-10 giorni dall’intervento. 

“Nell’attesa del rientro al gesto sportivo - conclude l’esperto - è utile consultare uno terapista della mano in grado di indicare al paziente:
 

  • come trattare la cicatrice;
  • quali esercizi di rinforzo fare”. 
Cura e Prevenzione