Aggressività nella malattia bipolare: dallo stigma alla realtà

PUBBLICATO IL 13 APRILE 2021

Il disturbo bipolare viene spesso considerato un sinonimo di aggressività, ma la ricerca scientifica nel campo ci racconta uno scenario più complesso 

A più di quarant’anni dalla Legge Basaglia, che ha permesso all’Italia di essere uno dei primi paesi in Europa e nel mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici, la malattia mentale rappresenta ancora uno dei tabù nella nostra cultura, oggetto di numerosi pregiudizi e stigma sociale

Tra questi c’è l’idea ampiamente diffusa nella popolazione generale che il disturbo bipolare sia associato a comportamenti violenti

In realtà i dati epidemiologici raccontano una storia diversa: gli episodi di aggressività nei pazienti bipolari sono prevalentemente concentrati nelle fasi acute di malattia e, nella quasi totalità dei casi, sono correlati a un abuso di alcol e di sostanze stupefacenti

Ne parliamo con le psichiatre Raffaella Zanardi e Cristina Colombo, professoressa ordinaria dell’Università Vita-Salute San Raffaele e direttrice del Centro Disturbi dell’Umore di San Raffaele Turro. Il centro vanta una grande expertise nel trattamento e nella ricerca sul disturbo bipolare e svolge 7000 visite ambulatoriali e 650 ricoveri all’anno.

Che cos’è il disturbo bipolare

“Il disturbo bipolare è un disturbo cronico ad andamento periodico, caratterizzato da alterazioni estreme dell’umore - spiega Raffaella Zanardi - e colpisce nel mondo all’incirca 1 persona ogni 100.

Nei pazienti che soffrono di disturbo bipolare si alternano:

  • episodi di depressione, con sensazioni di tristezza, disperazione, mancanza di energia e interesse per le attività abituali;
  • episodi maniacali, caratterizzati al contrario da umore elevato, sensazioni di benessere, euforia ed esaltazione, e da un senso esagerato di autostima”.  

Al centro dello spettro si colloca la condizione cosiddetta di eutimia, vale a dire un umore nei limiti della norma. 

Durante gli episodi maniacali è possibile che alcuni pazienti risultino irritabili e accettino con minor disponibilità critiche o opinioni diverse dalle proprie. Ciò può a volte degenerare in comportamenti verbalmente aggressivi o, al limite, anche fisicamente violenti, verso oggetti e persone. Ma quanto spesso accade ciò? 

Disturbo bipolare e aggressività

Contrariamente al significato che il termine ‘maniacale’ ha assunto nel tempo, anche nella stampa, la probabilità di comportamenti aggressivi o violenti nei pazienti bipolari durante queste fasi di malattia è piuttosto bassa. Il paziente con disturbo bipolare risulta innocuo nella maggioranza dei casi assolutamente.

Parte della confusione deriva anche dal modo in cui, in ambito di ricerca, si sono raccolte insieme segnalazioni di comportamenti aggressivi molto variabili tra loro. 

“I risultati degli studi cambiano molto se si analizza il concetto di aggressività considerandone diverse sfaccettature: 

  • i comportamenti indubbiamente violenti verso sé e verso gli altri;
  • irritabilità e agitazione.  

L’irritabilità e l’agitazione pur non essendo comportamenti propriamente violenti, allo stesso modo contribuiscono a mantenere lo stigma sociale nei confronti dei pazienti psichiatrici,” spiega la dottoressa Raffaella Zanardi, prima autrice dello studio.

Lo studio del San Raffaele sull’aggressività

Recentemente il gruppo di ricercatori clinici coordinati da Zanardi e Colombo ha fatto proprio questo seguendo per 12 mesi 151 soggetti affetti da disturbo bipolare

I risultati dello studio suggeriscono che la percezione dei pazienti bipolari come persone violente sia frutto di uno stigma sociale più che di una realtà clinica. 

Il primo dato emerso nello studio condotto presso il San Raffaele è che gli episodi di aggressività sono paragonabili o inferiori alla quasi totalità di quelli registrati in studi precedenti sull’argomento. 

Stratificando il risultato per il tipo di comportamento aggressivo è emerso come solo 1 paziente su 100 avesse mostrato atteggiamenti aggressivi verso persone, mentre negli altri casi è stata registrata violenza verso oggetti o episodi di violenza verbale.

Non solo: i ricercatori hanno osservato una drastica riduzione dei comportamenti violenti durante i lunghi periodi di benessere, che raggiungono in quelle fasi la stessa frequenza registrata nella popolazione generale.

L’abuso di alcol e sostanze come fattore di rischio

Considerando invece le fasi acute di malattia, è la presenza di co-diagnosi, in particolare disturbo da abuso di alcol o sostanze, il più grande fattore di rischio per comportamenti aggressivi: non solo ne aumenta la prevalenza, ma riduce i casi irritabilità ed agitazione psicomotoria a favore di episodi di violenza verbale e fisica verso oggetti o verso persone.

“È interessante come i sintomi tipici delle fasi maniacali, agitazione psicomotoria ed irritabilità, spesso stigmatizzati proprio perché ricondotti ad atti violenti, si sono rivelati connessi a veri e propri episodi di violenza solo in una netta minoranza dei casi - afferma la professoressa Cristina Colombo -.

Siamo speranzosi che i risultati delle ricerche possano aiutare a demolire lo stigma secondo cui la diagnosi psichiatrica è indice di pericolosità sociale, e che la violenza non venga quindi giustificata da una malattia”.

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