Alzheimer: riabilitazione e nuove speranze dalla ricerca

PUBBLICATO IL 21 SETTEMBRE 2020

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer facciamo il punto sulla malattia neurodegenerativa più diffusa: cos’è, come si cura e quali sono le nuove prospettive della ricerca scientifica 

Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza: colpisce 48 milioni di persone nel mondo, di cui 600.000 solo in Italia. È considerato la principale causa di disabilità nell’invecchiamento e i suoi numeri sono in crescita, soprattutto a causa dell’aumento dell’aspettativa di vita. 

Nonostante i meccanismi alla base del morbo di Alzheimer non siano ancora del tutto compresi, la ricerca scientifica sta facendo progressi straordinari: già oggi sono disponibili approcci innovativi per la riabilitazione cognitiva, anche a distanza, e sta per arrivare il primo farmaco in grado di contrastare la progressione della malattia, al momento nelle ultime fasi di studio prima dell’approvazione in commercio. 

Facciamo il punto sul presente e il futuro della cura per l’Alzheimer con il dottor Sandro Iannaccone, primario dell’unità di Riabilitazione Disturbi Neurologici Cognitivi-Motori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.

Alzheimer: cos’è e quali sono i sintomi

La malattia di Alzheimer è una forma di demenza caratterizzata dal deterioramento di abilità cognitive come memoria, ragionamento, percezione della realtà e comunicazione. 

I sintomi principali sono:

  • perdita significativa di memoria;
  • difficoltà nella produzione e nella comprensione del linguaggio;
  • incapacità di riconoscere persone, oggetti o luoghi e in generale di decodificare gli stimoli esterni;
  • difficoltà a compiere movimenti volontari semplici, come l’utilizzo di oggetti.

Con l’avanzamento della patologia, si manifestano spesso anche sintomi psichiatrici, come:

  • depressione;
  • ansia;
  • apatia;
  • irritabilità;
  • aggressività.

 Il risultato complessivo è una perdita progressiva dell’autonomia

L’Alzheimer può manifestarsi tra i 40 e i 90 anni di età, ma rimane molto raro sotto i 65 anni e la sua incidenza aumenta drasticamente con l’invecchiamento.

Si tratta di una malattia complessa e multifattoriale: alla sua origine – ancora in larga parte da comprendere – contribuiscono fattori genetici, ambientali e di stile di vita.

La teleriabilitazione per i malati di Alzheimer

Per i pazienti malati di Alzheimer in forme iniziali e medie, la riabilitazione può giocare un ruolo fondamentale per rallentare drasticamente la progressione della malattia, migliorando la vita del paziente e della sua famiglia. 

“Con lo scoppio della pandemia Covid-19, l’impiego delle tecnologie di teleriabilitazione, che già si era dimostrato molto comodo ed efficace per i nostri pazienti, ha subito un’ulteriore accelerazione,” spiega il dottor Iannaccone. 

Le nuove tecnologie disponibili, infatti, come il servizio di telemedicina del San Raffaele , hanno permesso ai pazienti di effettuare le sessioni di riabilitazione comodamente da casa anche durante i mesi in cui non potevano recarsi in ospedale ed evitando i rischi legati agli spostamenti.

 “Una volta definito il programma riabilitativo, il paziente viene seguito a distanza da psicologi e logopedisti che, attraverso un software dedicato, propongono esercizi visivi ed acustici di complessità sempre crescente, volti alla riabilitazione della memoria e a quella neuropsicologica,” continua Iannaccone.

Grazie a questo servizio, i professionisti possono interfacciarsi a distanza anche con i membri della famiglia o i caregiver, per trasmettere consigli medici e di stili di vita, come la dieta da seguire.

Il nuovo farmaco sperimentale 

Ma le buone notizie non riguardano solo le tecniche di riabilitazione. Dopo decenni di ricerca e di attesa, infatti, per la prima volta un farmaco sperimentale si è dimostrato capace di rallentare la progressione della malattia di Alzheimer

Si chiama Aducanumab e agisce riducendo la quantità di proteina amiloide nei tessuti cerebrali delle persone affette dalla patologia. L’accumulo di questa proteina è infatti un marker chiave dell’Alzheimer ed è coinvolto nel processo di degenerazione nervosa, sebbene in modi ancora in parte da comprendere. 

“Gli studi clinici hanno dimostrato che la terapia è in grado di rallentare il declino cognitivo e funzionale nei pazienti con Alzheimer,” spiega Iannaccone. “Si tratta di un risultato straordinario, che si attendeva da decenni e al quale abbiamo contribuito in modo attivo, coordinando lo studio clinico in tutto il territorio italiano.” 

È probabile che a breve il farmaco venga approvato in commercio negli Stati Uniti e a seguire in Europa. Parallelamente, sempre presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, partirà a breve un altro studio clinico con un farmaco estratto da un’alga e già approvato in Cina per trattare i pazienti con Alzheimer. Si chiama GV-971 e agisce sul microbiota intestinale.

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