COVID-19 e artrosi: due pubblicazioni del Galeazzi confermano la sicurezza dei trattamenti

PUBBLICATO IL 12 LUGLIO 2020

Studi dell’Istituto Ortopedico Galeazzi hanno indagato gli effetti del coronavirus in pazienti che assumono farmaci utilizzati per trattare l’artrosi. Ecco i risultati. 

La pandemia da COVID-19 ha influito sulla vita di milioni di persone, soprattutto coloro affetti da malattie croniche o occasionali, nonostante, ad oggi, una diretta relazione tra l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 e la maggior parte delle patologie non sia ancora chiara. 

Nella vita di tutti i giorni, quindi, la pandemia da COVID-19 può influire sia nell’affrontare, sia sulla strategia di trattamento di disturbi complessi, come l'artrosi.

L’impatto del COVID in pazienti con artrosi 

Per fare fronte alla pandemia in modo sicuro ed efficace in pazienti con artrosi, è quindi cruciale valutare la terapia farmacologica più adeguata, ed eventualmente decidere se interrompere o meno una terapia esistente, o scegliere l'alternativa più efficace quando l'approccio corrente si rivela inefficace o potenzialmente non sicuro. 

Infatti, diversi trattamenti per l’artrosi come i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), paracetamolo, corticosteroidi, oppioidi o altre molecole hanno una vasta gamma di effetti collaterali che potrebbero potenzialmente aumentare l'incidenza o le complicanze dell'infezione da SARS-CoV-2. 

Quindi, sia le caratteristiche e la storia dei pazienti che gli effetti secondari dei diversi trattamenti farmacologici in uso sono essenziali per guidare le decisioni dell’ortopedico e rassicurare il paziente stesso. 

Dati preliminari di letteratura, e in particolare due recenti pubblicazioni su riviste internazionali del gruppo guidato dalla dottoressa Laura de Girolamo, responsabile del Laboratorio di Biotecnologie Applicate all’Ortopedia dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, hanno riassunto gli effetti dei farmaci comunemente usati per il trattamento dell’artrosi, fornendo semplici linee guida per la gestione dei pazienti durante la persistenza della pandemia da COVID-19.

Medicinali sì, medicinali no: quali sono i rischi 

“Dal momento che ad oggi non c'è nulla di conclusivo che mostri una maggiore incidenza di infezione virale, e soprattutto di SARS-CoV-2, in chi assume farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) - spiega Enrico Ragni, ricercatore presso il Laboratorio di Biotecnologie Applicate all’Ortopedia nonché uno degli autori delle pubblicazioni - i pazienti con dolore che li assumono e non ancora infetti possono essere rassicurati sulla sicurezza del loro trattamento. 

Come buona norma generale, un approccio pragmatico e cautelativo suggerisce comunque di monitorare regolarmente e valutare la storia clinica del singolo paziente, e valutare attentamente il rapporto costi/benefici dei FANS, a causa di possibili, seppur poco frequenti, complicanze respiratorie e cardiovascolari”.

Pazienti trattati con paracetamolo

Per quanto riguarda il paracetamolo, anche in questo caso al momento non ci sono prove contro l'uso in relazione ad un aumentato rischio di infezione da SARS-CoV-2, e i pazienti che già lo assumono non hanno motivi supportati da letteratura per interromperne l’uso. 

“Allo stesso modo dei FANS e di altre sostanze antipiretiche – prosegue Enrico Ragni - il paracetamolo può comunque essere responsabile di un’eventuale sottovalutazione dei sintomi iniziali da COVID-19, quali febbre, e quindi un attento monitoraggio delle condizioni del paziente in caso di sintomi influenzali è fortemente raccomandato”.

Pazienti trattati con corticosteroidi 

“Nei pazienti trattati con corticosteroidi - spiega la dott.ssa de Girolamo - non vi sono prove chiare che suggeriscano la necessità di interromperne l’uso, a causa dell'assenza di dati clinici che collegano la terapia con corticosteroidi con un aumento dell'incidenza di COVID-19. A causa di possibili effetti peggiorativi in caso di patologie concomitanti, sia la terapia pre-infezione che post-infezione devono essere attentamente valutate e, se possibile, ridotte al minimo nel dosaggio.”

Pazienti trattati con oppioidi

Infine, per quanto riguarda i pazienti con dolore cronico in trattamento con oppioidi forti, la dott.ssa de Girolamo spiega che: “Questi potrebbero essere potenzialmente più sensibili alle complicanze dell'infezione da SARS-CoV-2, come la polmonite, mentre l’uso di oppioidi deboli sembra essere una scelta più sicura e quindi preferibile. 

Ad ogni modo, al momento, non esiste una chiara indicazione a favore o contro la sospensione degli oppioidi, di entrambi i tipi, in relazione all'incidenza di infezione da SARS-CoV-2. Anche in questo caso, un’attenta sorveglianza dei singoli pazienti deve essere condotta, soprattutto in caso di farmaci forti”.

Nessun pericolo per i pazienti con artrosi, anche in fase COVID 

“In generale con alcune eccezioni che meritano considerazioni del rapporto costi/benefici, i pazienti con artrosi possono essere rassicurati nella continuazione dei loro trattamenti, anche durante l'epidemia di COVID-19 - conclude Enrico Ragni -. Ciò ridurrà gli effetti negativi che la mancata cura dei sintomi, quali il dolore, la disabilità, la scarsa qualità della vita e il ricorso non necessario al sistema sanitario farà ricadere sui pazienti con artrosi che spesso sono anziani e con patologie concomitanti”.

Per saperne di più

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