L’osteosintesi per la cura delle fratture ossee scomposte
PUBBLICATO IL 17 GENNAIO 2019
Nella maggior parte dei casi le fratture sono trattate con un approccio di tipo conservativo che prevede l’immobilizzazione mediante bendaggio gessato. Tuttavia in alcune circostanze è necessario interagire il meno possibile con il focolaio di frattura rendendo significativamente più rapido e meno accidentato il percorso verso la completa guarigione del paziente propendendo per l’osteosintesi.
L'osteosintesi è un tecnica mininvasiva che oltre ai suoi principi cardine, il rispetto della vascolarizzazione dell’osso e il rispetto del focolaio di frattura, considera come sia importante non perdere di vista la necessaria riduzione della frattura e la stabilità della sintesi. Se non si osservano con attenzione tutti questi passaggi, infatti, l’esito dell’intervento chirurgico può non essere ottimale.
I materiali più comunemente utilizzati per produrre i mezzi di sintesi in traumatologia sono l’acciaio e il titanio: la scelta di uno e dell’altro è spesso dettata dalle circostanze. “Tra acciaio e titanio - ci ha spiegato il dott. Giovanni Bonaspetti, Responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia sez. II dell’Istituto Clinico S. Anna - intercorrono delle differenze sostanziali poiché il secondo ha la caratteristica di essere integrato di fatto dall’osso interessato, contrariamente al primo che è inerte. Questo fa sì che il titanio sia preferibile nel caso di inserti pensati per essere longevi e duraturi. Una caratteristica non da poco che sommata alla superiore leggerezza e all’assenza di possibili interferenze e disturbi in sede di risonanza magnetica, fa del titanio un materiale molto apprezzato soprattutto negli ultimi 15 anni. Ma l’acciaio, quando si manifesta il bisogno di rimuovere i mezzi di sintesi, agevola nettamente il lavoro: per questo sta vivendo un nuovo momento di slancio. Il titanio, infatti, complica questo lavoro in misura maggiore quando i mezzi di sintesi sono più piccoli”.