
Patologia dei tendini (tendinopatia) negli sportivi:cause e terapie
PUBBLICATO IL 19 SETTEMBRE 2025
La patologia dei tendini si manifesta con un dolore persistente che condiziona il quotidiano di atleti e sportivi, un’affezione diffusa e spesso di difficile inquadramento.
Come spiega, infatti, il Dott. Giovanni Battista Vinanti, Responsabile dell’U.O. di Ortopedia e Traumatologia sez. III dell’Istituto Clinico San Rocco, “la patologia dei tendini, specialmente nella sua forma cronica, resta un dilemma parzialmente insoluto nell’ambito della medicina, spesso manifestato dagli atleti al medico in modo tardivo rispetto al reale inizio del fenomeno degenerativo strutturale. Il controllo del dolore, la modulazione del carico di allenamento, la correzione dei fattori di rischio e le strategie terapeutiche più congeniali al paziente consentono di evitare di incappare nell’errore più comune ovvero la standardizzazione del trattamento”.
Approfondiamo con l’esperto cause e trattamento.
Quali sportivi soffrono più spesso di problemi tendinei?
I problemi tendinei affliggono spesso i calciatori: rappresentano il 10% degli infortuni totali di una squadra professionistica nell’arco di una stagione e, nonostante questa discreta incidenza, i trattamenti promossi nel corso degli ultimi decenni sono stati spesso caratterizzati da risultati limitati e basati su fondamenta scientifiche tutt’altro che solide.
Tendinopatia: non è sempre tendinite
A lungo si è pensato che alla base di questo disturbo vi fosse un fenomeno infiammatorio noto come tendinite ma, più di recente, dimostrata l’assenza di cellule infiammatorie, si sono fatte largo altre ipotesi tra cui:
- la tendinopatia reattiva con una risposta non infiammatoria ad un sovraccarico;
- la distruzione delle cellule e della matrice con proliferazione di vasi e nervi;
- la tendinopatia degenerativa, accompagnata da dolore cronico e in cui il tessuto tendineo si presenta degenerato in maniera irreversibile.
Le cause di una sofferenza tendinea
È tutt’oggi un tema molto dibattuto. La questione resta aperta dal momento che alcuni specialisti prediligono:
- teorie vascolari;
- fattori di natura meccanica;
- un’influenza del sistema nervoso periferico.
Cura e terapie
Il primo approccio terapeutico in presenza di patologia dei tendini è il ricorso a farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) o steroidei anche se studi recenti hanno dimostrato come agiscano efficacemente nel controllare il dolore ma non sulla riparazione tendinea e quindi sulla guarigione del quadro clinico. Il loro utilizzo risulta pertanto limitato, in particolare durante le fasi di “carico” del tendine.
Per una terapia adeguata andrebbe considerato:
- il distretto anatomico interessato: se i tendini degli arti inferiori sono strutturati per immagazzinare e rilasciare continuamente energia elastica e per questo vengono sottoposti maggiormente a forze di trazione, quelli delle estremità superiori devono principalmente svolgere funzione di scorrimento e sono assoggettati a meccanismi di frizione (come per esempio i tendini della spalla);
- lo stadio della patologia;
- il grado di attività fisica;
- la presenza di disturbi concomitanti.
Non vanno trascurate, infine, eventuali terapie antibiotiche assunte e il gruppo sanguigno del paziente: è noto infatti come soggetti con gruppo 0 producano un tipo di collagene (tipo III) meno resistente e pertanto più suscettibile a patologia.
Allenamento, prevenzione e riabilitazione
Programmi specifici e graduali di contrazione muscolare eccentrica e isometrica, stando alle più recenti ricerche, possono avere un effetto analgesico e contrastare l’atrofia muscolare senza sovraccaricare l’unità muscolo tendinea. Le stesse modalità di allenamento sembrano essere peraltro efficaci nella prevenzione primaria e secondaria della patologia.
Tuttavia, l’esecuzione di questi programmi di allenamento, determina spesso fluttuazioni dell’intensità del dolore a cui il paziente va psicologicamente preparato affinché non si scoraggi, conscio delle difficoltà di trattamento di queste patologie.
Le terapie fisiche (crioterapia, laserterapia, tecarterapia e ultrasuoni) possono essere introdotte a scopo adiuvante nel percorso di guarigione intrapreso. Se quanto descritto non dovesse essere ancora sufficiente, la terapia chirurgica, in ultimo, rappresenta ad oggi lo step finale a cui rivolgersi in caso di refrattarietà al trattamento conservativo.