Depressione: una malattia di tutto il corpo
PUBBLICATO IL 27 NOVEMBRE 2024
“Chi soffre di depressione non è semplicemente ‘triste’ o ‘svogliato’, ma è afflitto da un indicibile dolore esistenziale, che paralizza la motivazione e il godimento di qualsiasi piacere. La depressione, inoltre, non è una malattia del solo cervello, ma affligge l’intero corpo”, ci racconta il Professor Francesco Benedetti, direttore dell’Unità di Psichiatria e Psicobiologia Clinica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore di Psichiatria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele.
Abbiamo intervistato il Professore a proposito dell’attività di ricerca che la sua Unità conduce sulle basi biologiche dei disturbi dell’umore, quali il disturbo bipolare e la depressione maggiore.
Le possibili cause
La depressione maggiore è tra i più comuni disturbi dell’umore e colpisce circa 280 milioni di persone al mondo. In Italia, almeno il 20% delle persone sperimenta un episodio depressivo nell’arco della propria vita e il 5% della popolazione soffre di depressione maggiore ricorrente, una forma della malattia che segue l’andamento delle stagioni.
La depressione non è una malattia del solo cervello, ma coinvolge l’intero corpo. La ricerca degli ultimi 15 anni ha, infatti, evidenziato che essa, in alcuni casi, potrebbe essere legata a un malfunzionamento del sistema immunitario, che invecchia precocemente.
Questo invecchiamento delle cellule immunitarie porterebbe a una modifica del tipo e della quantità di citochine prodotte (molecole mediatrici della risposta infiammatoria).
“Si genera così uno stato infiammatorio persistente, che coinvolge e indebolisce tutto il corpo e che, a livello cerebrale, si riflette in una diminuita produzione di serotonina e altri neurotrasmettitori importanti per il controllo emotivo e cognitivo”, spiega Benedetti.
Questa infiammazione persistente può favorire l’aumento dell’incidenza di malattie come sindromi metaboliche e disfunzioni cardiovascolari tra i pazienti depressi, contribuendo a un peggioramento della qualità della vita.
Modulare l’infiammazione per curare la depressione: lo studio del San Raffaele
Dato che la depressione si accompagna a uno stato infiammatorio generalizzato del corpo, una possibile terapia sarebbe modulare questa risposta anomala per ripristinare il normale funzionamento del sistema immunitario. In particolare, non basta assumere un farmaco antinfiammatorio per sperare di guarire. La strada per un possibile trattamento sta infatti nella modulazione della risposta infiammatoria, piuttosto che nello spegnimento della stessa.
“Non vogliamo bloccare l’azione del sistema immunitario, che è naturalmente progettato per difenderci dalle malattie, ma vogliamo ripristinarne l’omeostasi, cioè l’equilibrio e il funzionamento fisiologici”, continua Benedetti.
È in questa direzione che sta lavorando il gruppo del professore, che lo scorso maggio ha pubblicato sulla rivista Brain, Behavior, and Immunity uno studio clinico di efficacia e sicurezza di un trattamento con interleuchina 2.
Lo studio ha mostrato che la somministrazione di basse dosi di questa citochina migliorava la risposta dei pazienti ai farmaci antidepressivi già in uso, promuovendo la proliferazione dei linfociti T, una specifica popolazione di cellule immunitarie.
Non tutte le depressioni sono uguali
Nonostante i risultati promettenti, la strada verso un trattamento di immunomodulazione che risolva la depressione è ancora lunga. Questo perché i profili infiammatori della malattia sono unici per ogni paziente e dipendono dalla sua genetica, così come dalla sua storia individuale.
La ricerca dell’Unità diretta dal professore mira a tracciare il profilo della malattia nei singoli pazienti, in modo da personalizzare le strategie di cura.
“Questa profilazione mirata è però complicata da un numero elevatissimo di variabili genetiche e ambientali che concorrono a determinare la malattia e che sono difficilmente gestibili da un essere umano”, spiega il professore. In questo contesto, l’uso degli strumenti di intelligenza artificiale per l’analisi di grandi moli di dati potrebbe aiutare a definire categorie di pazienti con precisi profili di malattia, “ma siamo solo agli inizi di questa nuova prospettiva di ricerca”, conclude Benedetti.
La depressione è donna
Oggi, rispetto al passato, la salute mentale sta guadagnando più attenzione nel discorso pubblico, sebbene il giudizio e la colpevolizzazione di chi soffre di depressione siano ancora radicati.
Questo è vero soprattutto per alcune categorie sociali, come le donne, che peraltro sono colpite dalla depressione con maggiore incidenza rispetto agli uomini, e soprattutto le donne che diventano madri.
La depressione peripartum
In particolare, la depressione peripartum, cioè l’insieme degli episodi depressivi che si manifestano nel periodo di tempo intorno al parto, è ancora poco studiata, a causa soprattutto della visione sociale e culturale del diventare madre come la massima aspirazione e realizzazione per una donna.
“Il risultato è che le donne vivono la depressione peripartum con enorme senso di colpa e tendono a non parlarne. Eppure, nella mia Unità abbiamo stimato che ne soffre almeno il 15% delle donne che diventano madri.
Recentemente, abbiamo pubblicato dati preliminari che mettono in relazione la probabilità di sperimentare episodi depressivi peripartum con una predisposizione genetica a fluttuazioni ormonali, a loro volta associate ad alterazioni dei gangli della base. Questi ultimi sono aree cerebrali evolutivamente molto antiche, coinvolte nella regolazione delle emozioni e della motivazione”, conclude il professore.
Senso di colpa, stigma, paura della sola idea di soffrire e complessità della malattia sono tutti aspetti di cui tener conto quando raccontiamo la depressione. Parlarne senza paura, dando voce e riconoscimento alla sofferenza esistenziale dei pazienti affetti, è fondamentale per accompagnarli lungo la strada della guarigione.