Terapia del dolore e cure palliative: qual è la differenza

PUBBLICATO IL 09 MAGGIO 2023

Che cosa si intende con il termine ‘terapia del dolore’? Che cosa sono le cure palliative? Ne parliamo con il dott. Marco Resta, Responsabile dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Polispecialistica dell’IRCCS Policlinico San Donato. Approfondiamo con l’esperto a cosa servono e quando iniziarle; chi può accedervi e in quali modalità.

 

Cos’è la terapia del dolore e a cosa serve 

Il dolore corporeo è una sensazione soggettiva di sofferenza che si genera da un male fisico acuto o cronico. La terapia del dolore, tuttavia, non si occupa soltanto di individuare un rimedio che possa porre fine al male fisico o psicologico; è, invece, una disciplina, afferente alla più ampia Specialità di Anestesia e Rianimazione, che prevede una profonda conoscenza di tutti gli organi e apparati coinvolti nella percezione, trasmissione ed elaborazione del dolore e delle molteplici e complesse risposte che l’organismo genera. 

Un buon terapista del dolore non solo deve possedere capacità interventistiche per poter eseguire procedure dedicate al trattamento del dolore, ma deve anche conoscere e sapere quando ricorrere alle competenze e al supporto professionale delle altre figure, quali psicologi, agopuntori, fisioterapisti, massoterapisti e medici specialisti. 

“Più il dolore è complesso, più bisogna saperne interpretare ogni sfaccettatura - spiega il dott. Resta -. Solo così, in una visione olistica del problema, è possibile trattare in modo corale e appropriato il dolore, con approcci più o meno aggressivi, ponderando la giusta combinazione tra farmaci, terapie convenzionali e terapie alternative fino a considerare il coinvolgimento di apparati e organi apparentemente non correlati ai disturbi che in primis hanno generato il dolore stesso” aggiunge l’esperto.

L’obiettivo è la riduzione del dolore fino all’eventuale scomparsa del dolore stesso, ma soprattutto il recupero di una buona qualità di vita.

 

Guarire e curare: quando si parla di cure palliative?

Si parla più propriamente di cura o medicina palliativa quando il dolore: 

  • si origina da condizioni morbose che non possono avere una guarigione; 
  • non può che degenerare.

“È importante evidenziare una fondamentale differenza tra guarire e curare. Se, infatti, guarire implica il ritorno alle condizioni di salute precedenti alla malattia con risoluzione definitiva o con una ragionevole prospettiva di recupero, curare non necessariamente comporta la guarigione e, anzi, nei casi peggiori è comunque possibile andare incontro alla morte dell’assistito - spiega il dott. Resta -. In questa differenza tra guarire e curare si muove il sottile confine tra terapia del dolore e cure palliative e il fondamentale principio del non abbandono terapeutico” prosegue il medico. 

Quando non è più possibile guarire, curare diventa la priorità. L’attuale codice deontologico impone, infatti, “di perseguire (…) la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona (…), di non intraprendere né insistere in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, senza mai abbandonare la cura del malato”.

Nell’ultimo documento (2018) sulle cure palliative della Società Italiana di Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore in collaborazione con la Società di Cure Palliative si legge: “Le persone morenti meritano attenzione ai propri bisogni e un’assistenza mirata ad alleviare le sofferenze, garantendo loro una dignitosa qualità della vita residua e della morte.  In queste situazioni, deve esser preferito l’approccio palliativo. Non si tratta di sospendere le cure e di abbandonare la persona morente, ma di accompagnarla garantendone fino all’ultimo la qualità della vita e la dignità. L’obiettivo di alleviare le sofferenze deve prevalere su quello di prolungare la sopravvivenza (…)”.

Negli anni, con l’aumento dell’aspettativa di vita e con essa delle malattie croniche, non solo gli anestesisti, ma anche gli specialisti quali oncologi, internisti, pneumologi, pediatri e cardiologi hanno dovuto imparare a gestire il malato non guaribile. A sottolineare quanto questa delicata fase della malattia diventi parte del percorso di cura, nel 2021 è nata una specializzazione dedicata di Medicina e cure palliative per adulti e pediatrici.

“Dovremo attendere, tuttavia, 4 anni per vedere come e dove verranno impiegati i primi specialisti che a pieno titolo dovranno occuparsi dei percorsi diagnostico-assistenziali per i malati inguaribili” spiega il dottore.

Attualmente, le cure palliative sono erogate: 

  • in Ospedale – dagli specialisti in Anestesia, Rianimazione e Terapia del Dolore o da medici formati ad hoc, come accade all’IRCCS Policlinico San Donato;
  • tramite assistenza domiciliare e strutture dedicate sul territorio, come l’Hospice. 

Nel primo caso il percorso è gestito dai curanti ospedalieri, nel secondo caso soprattutto dai medici di medicina generale.

 

Le cure palliative: l’attività del Policlinico San Donato

“Nel nostro Ospedale, di fronte alla difficoltà di guarigione dell’assistito o all’aumento della complessità di gestione, si attiva subito il personale, dai professionisti medici al personale infermieristico, soprattutto quando ad essere interessati sono organi che necessitano assistenza artificiale (polmoni, reni e circolo cardiovascolare)” spiega il dott. Resta.
Ad eccezione delle patologie strettamente cardiochirurgiche, prese in carico dall’Unità di Anestesia, Rianimazione e Terapia Intensiva Cardiochirurgica, tutte le altre patologie sono gestite dall’équipe dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione Polispecialistica, che interviene con una consulenza mirata. 

Quando la valutazione specialistica, discussa con l’équipe curante, esclude qualsiasi possibilità di guarigione, si concorda un piano terapeutico, presentato anche ai familiari del paziente, volto alla gestione dei pochi sintomi ancora curabili quali dolore, nausea e vomito, ansia ed eventuale percezione di difficoltà respiratoria (tecnicamente nota come dispnea). I farmaci principalmente utilizzati sono farmaci oppioidi (morfina o più potenti derivati) e sedativi che, tuttavia, non sono scevri da complicanze quali il sopore e la conseguente perdita di contatto tra l’assistito e i suoi famigliari. 

“Le competenze dei terapisti del dolore, l’utilizzo sempre più diffuso delle tecniche ecografiche e la scelta dei farmaci migliori in funzione della patologia e della tipologia del dolore, oltre che nel rispetto delle caratteristiche del malato, diventano fondamentali - spiega il dott. Resta -.
Parallelamente, si chiede l’intervento del Servizio di Psicologia Clinica presente nel nostro Ospedale. Il colloquio con l’assistito e con i suoi parenti, l’offerta di supporto specialistico, la disponibilità a continui chiarimenti costruiscono un percorso che permette di elaborare, fino ad accettare, l’inevitabile fine della vita” continua il medico. 

Il ricovero

Quando le condizioni famigliari o le difficoltà di gestione non sono permissive si può arrivare alla decisione estrema di un ricovero intensivo palliativo. Che il percorso palliativo sia in reparto o in terapia intensiva, una volta avviata la fase finale, la priorità diventa garantire una vicinanza costante tra familiari e assistito terminale.

“Si tratta di un obiettivo così importante per le nostre équipe che, anche durante la pandemia, si è sempre fatto di tutto per agevolare la condivisione di questo tempo particolare - spiega il medico -. Il tempo del fine vita è un tempo importantissimo. È un tempo che non possiamo prevedere, che difficilmente possiamo gestire, al di là degli effetti collaterali terminali che possiamo controllare con alti dosaggi di farmaci sedativi e oppiacei - continua il dott. Resta -. Il tempo concesso dalla palliazione ben condotta è tempo regalato.”

In alternativa, considerate però la scarsità delle strutture e le possibilità assistenziali, si può spostare il malato in Hospice o al proprio domicilio, quando il contesto familiare lo permette.

“Nella mission della nostra Unità Operativa di Anestesia, Rianimazione e Terapia del dolore, le cure palliative sono, di fatto, una delle occasioni privilegiate in cui è possibile valorizzare al meglio sia il lavoro di équipe sia il rapporto di fiducia e affidamento tra medico e assistito. Non a caso, il termine palliazione deriva dal latino palium, che significa mantello o protezione. Curare, laddove non è più possibile guarire, non significa ammettere un fallimento terapeutico, a cui segue un abbandono delle cure, ma anzi ci richiede un complesso lavoro di squadra, in cui figure diverse collaborano, mettendo a disposizione e a protezione del soggetto fragile e del contesto affettivo che lo circonda, un elevatissimo livello di competenze” conclude il dott. Resta.

Cura e Prevenzione