
Rizoartrosi: il percorso di cura mininvasivo dell’Ospedale San Raffaele per ridurre il dolore e migliorare la funzionalità del pollice
PUBBLICATO IL 30 OTTOBRE 2025
La rizoartrosi, anche conosciuta come artrosi della base del pollice, è una patologia degenerativa che colpisce l’articolazione trapezio-metacarpica, cioè il punto in cui il pollice si congiunge al polso. È una condizione molto comune, soprattutto tra le persone con più di 50 anni e in particolare nelle donne. I sintomi principali di questa patologia della mano sono il dolore e la rigidità, ma anche, e soprattutto, la difficoltà a compiere gesti quotidiani come aprire un barattolo, scrivere o girare una chiave.
All’IRCCS Ospedale San Raffaele, i pazienti affetti da rizoartrosi possono intraprendere un percorso terapeutico completo e multidisciplinare, che li accompagna dalla diagnosi fino al completo recupero funzionale. L’approccio personalizzato è strutturato in base allo stadio della malattia e alle esigenze individuali presenti.
A parlarcene più approfonditamente il dottor Mattia Carozzo, responsabile dell’Unità operativa di Chirurgia della Mano all’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Come si cura la rizoartrosi: la prima fase, la diagnosi
Il percorso di cura per la rizoartrosi inizia con una visita specialistica con il chirurgo della mano.
“In questa prima fase viene eseguita un’attenta valutazione clinica - spiega il dottor Carozzo -. Vengono indagate tutte quelle variabili che possono essere indicatrici del livello di compromissione delle strutture della mano, come:
- l’intensità del dolore;
- la forza della presa;
- la stabilità dell’articolazione;
- l’impatto della patologia sulla vita quotidiana”.
Se necessari, possono essere richiesti a completamento anche degli esami diagnostici.
“In particolare, nel caso di rizoartrosi si effettua:
- radiografia della mano, che permette di verificare con esattezza il grado di degenerazione articolare.
- TC (tomografia computerizzata), indicata in casi selezionati: permette di osservare in modo più dettagliato le superfici articolari coinvolte e capire se l’artrosi è limitata alla sola articolazione trapezio-metacarpica o se interessa anche la zona adiacente, chiamata scafo-trapezio-trapezoidea.
Una distinzione importante quest’ultima, per decidere se e quale può essere l’intervento più adatto” afferma lo specialista.
La seconda fase: il trattamento conservativo della rizoartrosi
Nelle fasi iniziali di rizoartrosi, il trattamento non è necessariamente chirurgico, ma può prevedere un approccio conservativo con l’introduzione di:
- riposo;
- terapia farmacologica antalgica e antinfiammatoria, se prescritta dallo specialista;
- terapia fisioterapica mirata, con il supporto di un terapista della mano.
“Il primo obiettivo, in quest’ultimo caso, è quello di ridurre il carico sull’articolazione che provoca dolore attraverso dispositivi su misura” spiega il dottor Carozzo.
I tutori di scarico
Per ridurre il carico sull’articolazione che fa male, solitamente, vengono utilizzati 2 tipi di tutori:
- il tutore notturno di scarico, per mantenere il pollice in posizione corretta durante il sonno;
- il tutore funzionale diurno, utile durante le attività quotidiane.
Parallelamente a questi dispositivi, il fisioterapista propone un programma riabilitativo che può prevedere:
- esercizi di rieducazione propriocettiva per rinforzare i muscoli che stabilizzano la base del pollice;
- tecniche di economia articolare utili per imparare movimenti che affaticano meno l’articolazione;
- educazione al controllo motorio, per svolgere le attività quotidiane in modo più sicuro e con meno stress sull’articolazione.
“Questa fase conservativa può già portare un significativo miglioramento dei sintomi, evitando o ritardando così, sempre laddove possibile, l’intervento chirurgico” aggiunge il chirurgo.
La terza fase: l’intervento mininvasivo per la rizoartrosi
Quando la terapia conservativa non basta o la patologia è già in fase avanzata, lo specialista può ritenere necessario il ricorso a una procedura chirurgica.
“Presso la nostra struttura, gli interventi per la rizoartrosi sono eseguiti con tecniche chirurgiche mininvasive, che riducono il trauma chirurgico, favorendo una guarigione più rapida e permettendo un ritorno precoce alle attività quotidiane” spiega il dottor Carozzo.
Le opzioni di intervento disponibili vengono scelte in base alla gravità dell’artrosi e all’estensione del danno articolare. Tra le tecniche principali troviamo:
- artroscopia con revisione delle superfici articolari, utile nelle fasi iniziali della malattia, che prevede il ricorso alla medicina rigenerativa per la riparazione e il rinforzo dei legamenti;
- emitrapeziectomia artroscopica con ligamentopessi, indicata quando l’artrosi è limitata all’articolazione trapezio-metacarpica;
- impianto protesico, quando il danno è più esteso, che prevede la sostituzione dell’articolazione danneggiata con una piccola protesi;
- artroplastica in sospensione con ligamentopessi, che consiste nell’asportazione completa dell’osso trapezio degenerato, associata alla ricostruzione dei legamenti che possono garantire la stabilità della base del pollice mantenendone una buona articolarità.
“Tutte queste tecniche, che vanno dai casi più semplici a quelli più complessi a livello di strutture coinvolte, hanno sempre dei comuni denominatori: ridurre il dolore, migliorare la funzionalità della mano e favorire una rapida mobilizzazione” indica l’ortopedico.
L’ultima fase del percorso: la riabilitazione dopo l’intervento
“Il recupero post-operatorio è un momento cruciale del percorso di cura. Il programma di riabilitazione, infatti, deve sempre essere costruito su misura, tenendo conto del tipo di intervento eseguito, dell’età del paziente, del suo stile di vita e delle sue esigenze specifiche” avverte lo specialista.
I terapisti della mano seguono il paziente, dunque, con esercizi personalizzati e mirati che hanno l’obiettivo di:
- ridurre il dolore e il gonfiore post-chirurgico;
- recuperare la mobilità articolare;
- rinforzare i muscoli stabilizzatori del pollice;
- ripristinare la funzionalità della mano per le attività quotidiane e, quando necessario, lavorative o sportive.
“La mobilizzazione postoperatoria è sempre immediata. I tempi di recupero possono variare da paziente a paziente, ma solitamente in 6 settimane è possibile tornare alle normali attività quotidiane” conclude il dottor Carozzo.



