Come si curano le infezioni protesiche

PUBBLICATO IL 26 NOVEMBRE 2021

L’esperto spiega come si evitano e curano le infezioni della protesi di ginocchio, anca, spalla e caviglia a seconda di quando si manifestano.

Una delle complicanze più temute in chirurgia protesica è quella relativa all’infezione periprotesica, ossia un’infezione delle protesi di ginocchio, anca, spalla e caviglia. Questa evenienza è tra le più terribili complicanze di questo tipo di chirurgia ortopedica. 

La sua manifestazione clinica può accadere nelle prime giornate post operatorie o più spesso nel corso delle settimane o addirittura mesi successivi l’intervento di protesi e può prevedere 2 o anche più step chirurgici per poter eradicare l’infezione e re-impiantare una nuova protesi specifica da revisione.

Quali sono gli elementi topici da selezionare in questi casi? Ce ne parla il dottor Bruno Violante, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Protesica del Ginocchio e Anca e di Chirurgia dello Sport presso l'Istituto Clinico Sant'Ambrogio.

 

Quali fattori possono favorire l’infezione alle protesi

“Certamente, abbiamo imparato come la conoscenza del paziente e la valutazione pre operatoria riducano il numero di infezioni quindi i malati che necessitano di questo tipo di soluzione chirurgica per risolvere i loro problemi articolari, se presentano patologie collaterali come il diabete, importanti vasculopatie periferiche, BMI (obesità) elevato, storia di trattamenti chemioterapici, presenza di patologie oncologiche in trattamento,  terapie con immunosoppressori per patologie come l’artrite reumatoide, storia di precedenti interventi con multiple incisioni cutanee e altre, tendono maggiormente a sviluppare infezioni periprotesiche - spiega il dott. Violante -. 

In queste condizioni, è necessario informare il paziente che la capacità di sviluppare un’infezione, cioè di reagire biologicamente in modo poco efficace nei confronti di un’aggressione batterica, è più elevata della media. 

Maggiore è la distanza dei valori medi di glicemia, peso, valori vascolari e patologie in generale, più è alta la percentuale di poter sviluppare un’infezione alla protesi.

 

Come si gestisce un’infezione delle protesi 

Le fasi di gestione di un’infezione sono 2:

  • la fase pre operatoria;
  • la fase di presa in carico da Centri altamente specializzati nel post operatorio.

Vediamole nel dettaglio.

Gestione di un’infezione che si manifesta prima dell’intervento

La prima fase prevede di seguire il malato nel momento in cui, nell’immediato pre operatorio, riscontra un’infezione di qualsiasi tipo come per esempio, urinario, odontostomatologico, cutanea o polmonare. Se il paziente si ricovera con batteri ancora presenti nell’organismo una volta sottoposto a uno stress chirurgico, questi potrebbero diffondersi, essere mobilizzati dalla loro sede iniziale e andare ad attecchire creando un nuovo focolaio infettivo nella zona periprotesica, una volta accaduto ciò i batteri tendono a proteggersi dall’azione di difesa dell’organismo formando una specie di membrana (biofilm) difficile da violare. 

 

Gestione di un’infezione che si sviluppa in seguito all’intervento

“La seconda fase, la gestione di un’infezione che si sviluppa dopo un intervento protesico, è quella che porta il paziente a rivolgersi e affidarsi a centri specializzati di grande afflusso e con grossi volumi di impianti - continua -. Più i centri sono specializzati nella chirurgia protesica, più automaticamente una serie di controlli e di piccoli dettagli sono sempre applicati nel miglioramento di:

  • pulizia dell’ambiente;
  • velocità dell’intervento;
  • gestione delle medicazioni post operatorie da parte di personale esperto.

Queste attenzioni, questo patient care, tende a essere più elevato nei centri di grande volume rispetto a quelli di piccolo volume. Nella letteratura internazionale, si consta come i centri a piccolo volume protesico delle zone periferiche, o comunque quelli con numeri di chirurgia maggiore protesica relativamente bassi, tendano a sviluppare maggiori complicanze anche infettive rispetto a ospedali di alto volume di chirurgia protesica”. 

 

Come si interviene per curare le infezioni protesiche subito dopo l'intervento

La chirurgia si sta evolvendo e la rapidità, la corretta gestione dei tessuti molli rappresentano certamente un aspetto importante che ha ridotto ulteriormente la percentuale di infezioni. Nel malaugurato caso che un malato sviluppi un’infezione, ricordiamo che il periodo post operatorio è quello decisivo: sono le 3/4 settimane successive all’operazione a essere cruciali. 

L’intervento non termina una volta fuori dalla sala operatoria, soprattutto per quanto riguarda la ferita, perché questa ha bisogno di almeno 2 settimane per potersi chiudere - sottolinea lo specialista -. Quindi, se ci sono delle alterazioni del sito superficiale chirurgico, queste possono veicolare le infezioni profondamente fino alle superfici protesiche.

Essere seguiti da personale specializzato, che pratichi anche medicazioni appropriate, costituisce uno degli aspetti fondamentali per evitare infezioni. 

Nel caso in cui ci si trovasse di fronte a un’infezione, la tempestività è essenziale. Se si riesce a intervenire nelle prime 3/4 settimane dall’intervento e soprattutto se si è riusciti a identificare l’agente patogeno tramite esami colturali è possibile in alcuni casi salvare l’impianto protesico. 

In pratica, si ricorre alla nuova chirurgia che prevede:

  • lavaggio accurato dei tessuti con rimozione delle zone del sito chirurgico sofferenti;
  • biopsie per identificare il batterio responsabile della colonizzazione patogena;
  • sostituzione del polietilene, cioè della parte di plastica che si trova all’interno delle articolazioni di anca e ginocchio;
  • trattamenti di ablazione termica o di brushing (profonda pulizia meccanica) delle superfici protesiche con immissione di sostanze sferiche composte da trifosfato calcico riassorbibile nel tempo ed imbevuto di due tipi di antibiotici in grado di essere rilasciati in articolazione nelle settimane successive (fino a 5 settimane) alzando così il livello di antibiotici ed ottenendo spesso un'azione battericida definitiva.

Questo tipo di approccio riduce drasticamente la necessità di dover espiantare la protesi a patto che venga eseguita nelle prime settimane dall’intervento”, spiega lo specialista.

 

Come si interviene per le infezioni protesiche late infection

Qualora si superi questo periodo di tempo, potrebbe verificarsi l’eventualità di una late infection, l’infezione tardiva dopo 2-3-4 mesi o più dall’intervento trovandosi spesso di fronte a infezioni “low grade” (poco aggressive) che sviluppandosi lentamente mostreranno chiari sintomi solo nel tempo.  

Quando sintomi come il dolore, la perdita di movimento, presenza di uno stato generale di infiammazione o addirittura rialzo febbrile sono presenti allora è necessario rivolgersi allo Specialista esperto nel settore che in Team con Infettivologi e Microbiologi eseguirà la corretta diagnosi di infezione periprotesica.

Ci sono due tipi di tecniche per fronteggiare una late infection

  • tecnica one step;
  • tecnica two step.

La tecnica one step

La one step comprende diverse fasi di azione:

  • identificazione del batterio responsabile dell’infezione;
  • pulizia di tutti i tessuti;
  • rimozione della protesi;
  • lavaggio dei canali femorali e tibiali o dell’acetabolo (nel caso dell’anca);
  • esecuzione di un nuovo impianto di protesi da revisione con cemento a doppio rilascio di antibiotici e di sfere antibiotate per prolungare la sterilizzazione del sito di impianto. 

Contemporaneamente, i microbiologi e gli infettivologi lavorano sui dosaggi di antibiotici a cui sottoporre il paziente nelle settimane successive l’intervento. 

La tecnica two step

Nel caso in cui non si riesca a identificare il batterio o si sia sprovvisti di questa organizzazione laboratoristica, microbiologica e infettivologica, la tecnica two step è quella più indicata e che prevede:

  • rimozione della protesi infetta;
  • pulizia dei tessuti;
  • esecuzione di biopsie su tessuti molli e ossei di entrambi i versanti, che vengono poi inviati in laboratorio;
  • impianto di una struttura in cemento che rilascia antibiotico (spacer);
  • aggiunta delle sfere antibiotate.

Una volta individuato il microrganismo, l’infettivologo confezionerà la terapia antibiotica di circa 6/10 settimane fino a quando i parametri ematici non saranno normalizzati e se, dopo 3 settimane dalla sospensione degli antibiotici, questi restano normalizzati, si può eseguire il secondo impianto basato su una protesi da revisione con le stesse modalità della tecnica one step.

 

Come si cura l’infezione tardiva

L’ultima caratteristica dell’infezione è quando insorge molto tardi, anche a distanza di anni: “In questi casi, bisogna osservare il tipo di infezione (es. odontoiatrica, polmonare) e come è avvenuta (es. per via ematogena) - conclude Violante -. La tecnica più indicata è la two step, che deve essere eseguita sempre da centri di alta specialità, ad alti volumi perché, essendo casi di pertinenza multifattoriale, richiedono la competenza certamente del Chirurgo Ortopedico esperto in questo campo ma anche di Infettivologi, Microbiologi e Internisti.

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