Sistema cardiovascolare e Covid-19: uno studio del Galeazzi presenta le implicazioni

PUBBLICATO IL 14 NOVEMBRE 2020

Le malattie cardiovascolari rappresentano non solo un fattore di rischio, ma anche una comune complicanza nel COVID-19.

Il SARS-CoV-2 ha provocato una pandemia virale la cui rapida diffusione e l'alto tasso di mortalità hanno esposto gli individui sensibili a sintomi imprevedibili. Noti fattori di rischio di virulenza per SARS-CoV-2 sono l’età avanzata, uno stato di malnutrizione e la presenza di concomitanti malattie cardiovascolari, mentre il COVID-19 può portare ad affezioni miocardiche, vasculiti e manifestazioni aterotrombotiche. Le malattie cardiovascolari rappresentano quindi un fattore di rischio e una comune complicanza durante l’infezione. L’indagine cardiologica deve essere considerata sia nella prevenzione, sia nel trattamento del COVID-19. 

I ricercatori dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, dell’Istituto Clinico San Siro e dell’Istituto Clinico Sant’Ambrogio si sono concentrati proprio nello studio delle vie fisiologiche implicate nella sensibilità al virus e nell’esordio di eventi miocardici, vasculitici e aterotrombotici. Questa panoramica è stata descritta in un articolo pubblicato sul Frontiers in Physiology, e realizzato da alcuni specialisti dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, tra cui il dott. Matteo Briguglio, ricercatore della direzione scientifica; il dott. Paolo Perazzo, responsabile dell'Unità di Anestesia e rianimazione; il dott. Alfonso Ielasi, cardiologo presso l’Unità di Cardiologia interventistica (diretta dal dott. Maurizio Tespili) presso l’Istituto Clinico Sant’Ambrogio, il dott. Giuseppe De Blasio, responsabile dell’Unità di Cardiologia dell’IRCCS Galeazzi e dell’Istituto Clinico San Siro, e il prof. Maurizio Turiel, consulente scientifico presso l’IRCCS Galeazzi. 

Danno miocardico 

Le sequele cardiovascolari iniziano con il legame virale all’ACE2 nelle vie aeree inferiori con danno a livello delle cellule alveolari, sin da subito, alterando la diffusione dell'ossigeno attraverso la membrana alveolare capillare prevenendo così la corretta ossigenazione dei tessuti - sostiene il dott. Matteo Briguglio -. 

Durante il peggioramento della fase respiratoria, la risposta immunologica nei polmoni altera l'integrità della barriera alveolo-capillare, con componenti plasmatiche che filtrano nella cavità alveolare insieme a cellule immunitarie. Nei pazienti gravi, potrebbe insorgere una tempesta citochinica, che è l’origine per la fase sistemica. 

Sorprendentemente, anche pazienti con sintomi respiratori lievi possono manifestare implicazioni cardiovascolari come:

  •  miocardite/pericardite acuta
  •  sindrome di Takotsubo
  •  infarto miocardico acuto.

 È generalmente accettato che una disfunzione immunitaria dell'ospite aumenta la suscettibilità alle complicanze della malattia ed è probabile che l'associazione di una polmonite grave con un danno miocardico porti a un progressivo deterioramento cardiorespiratorio”.

Disfunzione endoteliale

La disfunzione endoteliale, ovvero l’alterazione del tessuto vascolare, è una caratteristica del COVID-19 che permane dalla fase proliferativa a quella sistemica. Insieme ad alti livelli di citochine pro-infiammatorie, è facile riscontrare sindromi simili a vasculiti a livello cerebrale, renale o gastrointestinale.

 Nei pazienti COVID-19 gravi, è stata osservata la malattia di Kawasaki insieme a segni cutanei, come le “dita dei piedi COVID-19” o le lesioni simili ai geloni. “Possiamo presumere che le disfunzioni endoteliali in COVID-19 derivino sia da un danno diretto, sia da un danno non ischemico - continua il ricercatore -. L'endotelio attivato causa un ulteriore rilascio di citochine infiammatorie con l'attivazione delle piastrine e di altri fattori che causano eventi microtrombotici”. 

Microtrombosi

La coagulazione anomala è il meccanismo alla base della cardiopatia ischemica, dell'ictus e del tromboembolismo venoso, ma è stata osservata anche nella polmonite influenzale grave e nella polmonite da SARS-CoV-1. I coaguli possono essere trovati nei cateteri per dialisi renale, causare ictus o trombo-embolie gravi. La formazione di trombi è stata associata a un aumento della mortalità e la maggior parte dei pazienti gravi soddisfacevano, infatti, i criteri di diagnosi di coagulazione intravascolare disseminata. 

“È importante sottolineare - spiega il dott. Giuseppe De Blasio - che l'ipossia tissutale (carenza di ossigeno nei tessuti) è nota per indurre la riprogrammazione metabolica nelle cellule del cuore, essendo quindi fondamentale per la progressione di numerose complicanze cardiovascolari.

Non tutti i pazienti COVID-19 che manifestano alterazioni elettrocardiografiche, come anomalie del segmento ST o dell'onda ST-T, mostrano anche opacità tomografiche toraciche concomitanti. È quindi possibile che, in individui predisposti, il sistema cardiovascolare sia colpito prima del sistema respiratorio, probabilmente a causa di alti livelli circolanti di citochine pro-infiammatorie, ormoni dello stress, squilibri elettrolitici o cardiotossicità da farmaci. 

Le aritmie gravi sono condizioni potenzialmente letali che possono verificarsi in oltre il 30% dei pazienti COVID-19 di gravità medio-alta. È importante sottolineare che innumerevoli complicanze cardiovascolari sono state associate anche al frequente coinvolgimento renale osservato in tali pazienti, dove è ragionevole credere che l’interessamento renale sia principalmente legato a un danno di tipo ischemico”.

Le conclusioni dello studio

“Il COVID-19 - conclude il prof. Maurizio Turiel - è una malattia multiforme che comprende diverse implicazioni di natura cardiologica, tra cui:

  •  ipossiemia
  • vascolopatia
  • lesioni non ischemiche
  •  polarizzazione delle cellule immunitarie
  •  danni ischemici derivati ​​da trombi e aritmie”. 
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Comprendere questi meccanismi fisiopatologici nel COVID-19 è fondamentale per:

  •  valutare tempestivamente i fattori di rischio precoci
  • adattare il trattamento in base alla gravità del paziente e al rapporto rischio-beneficio, così da definire terapie basate sull'evidenza a seconda della fase della malattia”.

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