COVID-19 e gruppi sanguigni: ci sono profili più vulnerabili?
PUBBLICATO IL 08 APRILE 2020
Uno studio cinese, che deve essere validato dalla comunità scientifica, ha cercato un’eventuale correlazione tra gruppi sanguigni e malattia da coronavirus. Il parere dell’esperto
Un recente studio condotto dai ricercatori cinesi dell’Università Meridionale della Scienza e della Tecnologia di Shenzhen, in collaborazione con alcuni studiosi dell'Ospedale Renmin dell'Università di Wuhan, del Dipartimento per le malattie infettive presso l'Ospedale di Wuhan Jinyintan e della Scuola di Statistica della East China Normal University di Shanghai, ha messo in luce un’eventuale correlazione tra coronavirus e gruppi sanguigni.
Si tratta di una ricerca preliminare per ora unica nel suo genere, è bene precisarlo, e che deve essere ancora validata dal punto di vista scientifico (non esistono ancora pubblicazioni ufficiali su riviste scientifiche peer-review ed è ancora oggetto di controllo e revisione da parte della comunità scientifica).
Lo studio
Dopo aver analizzato i campioni di sangue di 2.173 pazienti affetti da COVID-19 ricoverati in tre ospedali di Shenzhen e di Wuhan (l’originario epicentro di questa drammatica epidemia) e averli confrontati con le analisi di 3.694 persone negative residenti nei medesimi territori, i ricercatori, coordinati dal Prof. Peng George Wang (docente presso la Scuola di Medicina dell'ateneo di Shenzhen), sarebbero giunti ad una conclusione.
I risultati
Le persone con gruppo sanguigno A hanno un rischio significativamente più elevato di vulnerabilità al COVID-19 rispetto al gruppo 0 che presenta percentuali di rischio notevolmente inferiori.
I dati forniti dai ricercatori, inerenti al limitato campione analizzato, mostra i seguenti risultati:
- Gruppo A: sani (32,16%) - malati (37,75%);
- Gruppo B: sani (24,90%) - malati (26,42%);
- Gruppo AB: sani (9,10%) - malati (10,03%);
- Gruppo 0: sani (33,84%) - malati (25,80%).
Le conclusioni
“Le persone del gruppo sanguigno A potrebbero aver bisogno di una protezione personale maggiore per ridurre la possibilità di infezione” hanno affermato i ricercatori , così come di “una sorveglianza più vigile e un trattamento aggressivo”.
Uno dei motivi riconducibili a queste conclusioni risiede in alcuni anticorpi naturalmente presenti in alcuni gruppi sanguigni.
Questo il parere del Prof. Fouad Kanso, Responsabile del Servizio di Laboratorio Analisi dell’Istituto Clinico S. Anna: “Anche in passato sono stati condotti degli studi dedicati alla correlazione tra alcune malattie infettive e gruppi sanguigni con dei risultati in alcuni casi interessanti (Norwalk virus e virus dell’epatite B, per esempio).
Questo in particolare fornisce dei dati parziali e dovrebbe essere esteso per aumentare le dimensioni del campione: sebbene 2.173 soggetti non siano pochi, il dato viene sminuito dal numero globale di pazienti infetti da coronavirus, che ad oggi sono più di 640.000.
Questo genere di ricerca, sicuramente utile ed interessante ma che deve ancora passare al vaglio della comunità scientifica, dovrebbe soffermarsi di più sull’interazione molecolare tra il virus e i diversi tipi di globuli rossi e su come questa interazione si esplichi a livello di manifestazione della malattia.
La prevenzione prima di tutto
“Si tratta di studi utili per il nostro lavoro come specialisti del settore - avverte il dottore -, ma i cittadini non devono allarmarsi: se si appartiene al gruppo sanguigno A non c’è bisogno di andare nel panico e se si appartiene al gruppo sanguigno 0 non significa che si è assolutamente al sicuro.
A prescindere dal gruppo sanguigno di appartenenza, è fondamentale comunque lavarsi le mani e seguire le linee guida emanate dalle autorità sanitarie e dagli esperti del settore per il contenimento dell’infezione”.