
Leucemie e immunoterapia: uno sguardo sul trapianto di cellule staminali del sangue e le terapie cellulari adottive
PUBBLICATO IL 23 GIUGNO 2025
“Leucemia” significa letteralmente “sangue bianco”. La parola fu coniata dallo scienziato tedesco Rudolf Virchow a metà dell’Ottocento per descrivere la spropositata abbondanza di globuli bianchi osservata nel sangue di una paziente con i sintomi di quella che, a posteriori, è stata classificata come leucemia mieloide cronica.
Oggi sappiamo che la leucemia è un tumore che origina nei tessuti ospitanti le cellule staminali del sangue, quali principalmente il midollo osseo e alcuni organi linfatici, e che invade e prolifera nel sangue.
Leucemie croniche e leucemie acute
Le leucemie sono tumori estremamente eterogenei. Una classificazione piuttosto ampia le distingue in:
- leucemie croniche: hanno un decorso più lento e cronico e, come tali, possono essere tenute maggiormente sotto controllo;
- leucemie acute: sono più aggressive e rapide nel decorso.
A loro volta, le leucemie croniche e acute possono essere
- leucemie mieloidi: se il tumore origina dalla proliferazione incontrollata delle cellule precursori dei globuli rossi, monociti e granulociti (2 tipi di globuli bianchi) e piastrine;
- leucemie linfoblastiche: se il tumore origina dalla proliferazione incontrollata delle cellule precursori dei linfociti.
Le cure con l’immunoterapia per le leucemie
“Anche nel caso di quelle acute, cioè le forme più gravi, il trattamento delle leucemie è migliorato molto negli ultimi trent’anni. In alcuni casi, come quello della leucemia linfoblastica acuta nei bambini, la probabilità di remissione interessa circa il 90% dei pazienti”, ci racconta il professor Luca Vago, Group Leader del laboratorio di Immunogenetica, Genomica e Immunologia della Leucemia presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele e Professore Associato di Ematologia all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Abbiamo incontrato il prof. Luca Vago e la dottoressa Eliana Ruggiero, Project Leader presso il laboratorio di Ematologia Sperimentale dell’Ospedale, per fare una panoramica sulle leucemie e 2 forme di immunoterapia:
- il trapianto di cellule staminali del sangue
- le terapie cellulari adottive.
Il trapianto di cellule staminali del sangue: una forma di immunoterapia consolidata
Il trapianto di cellule staminali del sangue, anche conosciuto come trapianto di midollo osseo, serve a sostituire il midollo osseo malato dei pazienti con il midollo osseo di un donatore sano. Il midollo osseo è la sede principale dell’emopoiesi, cioè il processo che genera tutte le cellule del sangue.
Solitamente, il trapianto viene consigliato per quei pazienti in cui la chemioterapia, che da sola promuove efficacemente la remissione nella maggior parte dei casi di leucemia, non è sufficiente a evitare la ricomparsa della malattia.
“Questo, per esempio, può verificarsi nei casi di leucemia mieloide acuta. Pertanto, se il paziente non ha più di 70 anni ed è in buone condizioni di salute, si può decidere di procedere al trapianto di midollo prelevato da un donatore sano e compatibile”, spiega il professor Vago, da anni impegnato nella ricerca sui trapianti di cellule staminali del sangue.
Oltre a sostituire un midollo sano con uno malato, negli anni si è osservato che il trapianto si comporta anche come un’immunoterapia del tumore.
L’immunoterapia punta a eliminare le cellule tumorali sfruttando le capacità difensive e citotossiche (in grado, cioè, di uccidere le cellule) del sistema immunitario, in particolare delle sue cellule chiamate linfociti T.
“Col tempo, i ricercatori hanno capito che con il trapianto è possibile trasferire nei pazienti non solo le cellule staminali che ripristinano un’emopoiesi sana, ma anche i linfociti T dei donatori. Questi linfociti T riconoscono e uccidono le cellule tumorali”, racconta il professor Vago.
I linfociti T trapiantati, tuttavia, possono attaccare non solo il tumore, ma anche le cellule sane dei pazienti. Questo può causare una complicanza del trapianto chiamata “malattia del trapianto contro l’ospite”.
Gli studi sulla potenzialità immunoterapeutica dei trapianti e sulla malattia del trapianto contro l’ospite hanno ispirato la ricerca successiva di terapie che si propongono di direzionare i linfociti T solo contro il tumore, risparmiando i tessuti sani: le terapie cellulari adottive.
Le terapie cellulari adottive: le terapie CAR-T e TCR
Le terapie cellulari adottive sono un altro esempio di immunoterapia e negli ultimi anni hanno mostrato risultati incoraggianti per il trattamento di diversi tumori del sangue, compresa la leucemia linfoblastica acuta.
Queste terapie consistono nell’inserire nei linfociti T, solitamente prelevati dai pazienti, un recettore che dovrebbe permettere loro di riconoscere e uccidere le cellule tumorali. I linfociti T così ingegnerizzati vengono poi re-infusi nei pazienti.
Il recettore inserito nei linfociti T può essere di 2 tipi:
- TCR: è il recettore naturalmente presente sui linfociti T;
- CAR: è un recettore artificiale, sintetizzato in laboratorio.
Il recettore TCR riconosce un ampio ventaglio di molecole ed è più sensibile del CAR. Questo significa che bastano poche molecole tumorali riconosciute dal TCR per innescare l’azione citotossica dei linfociti T che lo esprimono.
Il recettore CAR, al contrario, è meno sensibile del TCR. Questo significa che sono necessarie molte più molecole per scatenare l’azione citotossica dei linfociti T ingegnerizzati con CAR, i cosiddetti CAR-T.
“I linfociti T naturalmente dotati di TCR che riconoscono il tumore sono rari e questo è il loro svantaggio principale. Io mi occupo proprio di ‘stanare’ quei linfociti dotati di un TCR antitumorale promettente. Una volta trovate le cellule adeguate, le analizziamo in laboratorio per estrarre da esse l’informazione necessaria a produrre TCR antitumorali con cui ingegnerizzare nuovi linfociti T”, spiega la dottoressa Eliana Ruggiero.
Oggi esiste una sola terapia a base di TCR approvata dalla FDA, l’agenzia statunitense per i farmaci e gli alimenti, per il trattamento del sarcoma sinoviale, un tumore solido, ma non ancora per i tumori del sangue.
Al contrario, oggi in clinica sono approvate alcune terapie con cellule CAR-T per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta e di altri tumori del sangue originanti dalla proliferazione incontrollata dei linfociti B (le cellule che producono gli anticorpi), come i linfomi e il mieloma multiplo.
Proprio al San Raffaele, in passato, una terapia CAR-T è stata usata per la prima volta in Italia per trattare un paziente con una forma di linfoma.
“Le terapie CAR-T approvate oggi in clinica non hanno però come bersaglio molecolare un antigene tumorale. Infatti, il CAR in questi casi riconosce CD19, che è una molecola espressa sia dai linfociti B sani, sia da quelli malati. Questo significa che la terapia elimina sia cellule sane che malate. Per fortuna, oggi possiamo compensare la perdita di linfociti B sani grazie all’integrazione esterna delle immunoglobuline (gli anticorpi) perdute, un compromesso accettabile a fronte del contenimento di tumori gravi”, spiega la dottoressa.
La difficoltà principale comune sia alle terapie CAR-T che a quelle con TCR rimane quindi la ricerca di un bersaglio che sia presente solo sulle cellule tumorali e non su quelle sane, per direzionare i linfociti T contro il tumore ed evitare effetti collaterali non voluti.
Le sfide del trapianto e delle terapie cellulari adottive e le prospettive future
Sebbene sia il trapianto, sia le terapie adottive abbiano reso possibile il trattamento di alcuni tumori, entrambe le procedure non sono prive di complessità.
Nel caso del trapianto, per esempio, la malattia del trapianto contro l’ospite rimane uno dei rischi da tenere in considerazione. Inoltre, esiste il rischio di recidiva, cioè che il tumore si ripresenti, a causa dei meccanismi con cui le cellule tumorali eventualmente rimaste si sottraggono alla vista e all’azione del sistema immunitario.
Sia nel trapianto, che nelle terapie cellulari adottive, i pazienti devono sottoporsi a un pre trattamento di chemioterapia, che serve a rimuovere il più possibile le cellule malate e a fare spazio al nuovo midollo osseo o ai linfociti T ingegnerizzati.
“Fortunatamente, i farmaci chemioterapici di cui disponiamo oggi sono ben tollerati dai pazienti nella maggior parte dei casi e non provocano effetti collaterali significativi che si presentavano in passato. Tuttavia, i pazienti durante la chemioterapia sono comunque più esposti al rischio di infezioni, poiché il loro sistema immunitario è momentaneamente indebolito”, commenta il professor Vago.
A sua volta, l’ingegnerizzazione dei linfociti T con TCR o CAR richiede che le cellule vengano estratte dai pazienti e poi sottoposte a manipolazione in laboratorio. In questo contesto la qualità delle cellule, che può essere negativamente influenzata da trattamenti terapeutici precedenti a cui è stato sottoposto il paziente, gioca un fattore fondamentale per la generazione di un prodotto cellulare idoneo.
“La vera frontiera delle ricerche nel campo delle terapie cellulari adottive sta proprio nel trovare il modo di ingegnerizzare i linfociti T direttamente nel corpo dei pazienti. Negli ultimissimi anni si stanno avviando i primi progetti di ricerca in questo campo dell’ingegneria in vivo, ma siamo veramente all’inizio”, conclude la dottoressa Ruggiero.