Disabilità Intellettiva e Autismo:cosa sono, come si diagnosticano e trattano
PUBBLICATO IL 01 APRILE 2022
Autismo e disabilità intellettiva, sono la stessa cosa? No, si tratta di disturbi del neurosviluppo che si manifestano sin dall’infanzia e che hanno differenze significative tra loro. Il Dottor Gianluigi Mansi, Responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Psichiatrica degli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza e referente dell’Ambulatorio di Psicologia Clinica e Psichiatria presso Zucchi Wellness Clinic di Monza ci spiega le cause e come sono in grado di influenzare la sfera personale, sociale, scolastica e lavorativa dell’individuo.
Cosa si intende per Disabilità Intellettiva
Il termine Disabilità Intellettiva sostituisce la categoria clinica che una volta veniva denominata ‘ritardo mentale’. Si tratta della più comune disabilità dello sviluppo delle funzioni intellettive.
“È un termine usato per soggetti che presentano limitazioni nel funzionamento cognitivo e nelle capacità, quali la comunicazione, le abilità sociali e di apprendimento. Queste limitazioni possono far sì che un bambino si sviluppi e impari più lentamente o in modo diverso rispetto a un bambino con sviluppo tipico”, dichiara Mansi.
I differenti livelli di gravità
Esistono diversi livelli di disabilità intellettive:
- lieve;
- moderato;
- grave ;
- estremo.
Disabilità intellettiva lieve
La forma lieve è la più comune, e costituisce circa l’80% dei soggetti affetti da disabilità intellettiva: i sintomi nei bambini vengono di solito riconosciuti all’ingresso nella scuola primaria.
Prosegue lo psichiatra: “Questi soggetti durante l’età adulta riescono di solito ad acquisire:
- capacità sociali e occupazionali;
- un livello minimo di autosostentamento”.
Disabilità intellettiva grave
“Le forme più gravi - continua - sono diagnosticate fin dalla prima infanzia e presentano:
- una comprensione limitata;
- una capacità comunicativa compromessa;
- una totale dipendenza da altre persone, sia nell’ambito della propria salute che a livello delle autonomie e delle relazioni con l’altro”.
Come si diagnostica la disabilità intellettiva
Solitamente si diagnostica verificando se:
- il Quoziente intellettivo (QI) della persona è inferiore alla media;
- ci sono limitazioni significative in 2 o più aree di adattamento, come ad esempio le capacità di autonomia necessarie per vivere, lavorare e ambientarsi in una comunità, le modalità di comunicazione e la cura di sé;
- le condizioni sopra citate si manifestano prima dei 18 anni.
Le cause
La cause di questo deficit del neurosviluppo possono derivare da:
- condizioni genetiche, cioè mutazioni genetiche ancora poco conosciute o forme più note come la sindrome di Down (la Trisomia 21) e la sindrome dell’X fragile;
- complicazioni durante la gravidanza: una disabilità intellettiva può risultare da alterazioni di sviluppo intrauterino, ad esempio da infezione materna;
- problemi durante il parto, durante il travaglio e la nascita, che portano il bambino a non ricevere abbastanza ossigeno.
Altre cause che si verificano quando si è in fase di crescita e potrebbero includere gravi lesioni
cerebrali, infezioni o ictus.
La disabilità intellettiva nell’adulto
“La quasi totalità delle disabilità, soprattutto se medio - gravi è diagnosticata in età infantile. In queste situazioni vengono attivati programmi diagnostici e riabilitativi da parte della scuola, del pediatra, dei servizi di neuropsichiatria infantile e della famiglia con l’aiuto di associazioni, per costruire un percorso di assistenza integrata che termina solitamente con l’età giovane-adulta; il soggetto disabile imparerà, per quanto possibile, l’autonomia, l’integrazione sociale e le capacità lavorative - indica Mansi - .
Per arrivare a questo sarà importante anche l’utilizzo di tecniche di riabilitazione cognitivo-comportamentale in grado di favorire quelle abilità comportamentali e adattative che, a causa dell’handicap, non si sono sviluppate in modo autonomo o che necessitano di un rinforzo per mantenerle.
C’è però la possibilità che le tensioni derivanti dalle richieste riabilitative creino comportamenti problematici come aggressività, autolesionismi, isolamento, che richiedono un trattamento psichiatrico, farmacologico o psicoterapico specifici. Inoltre, la partecipazione alle attività dei centri diurni e la residenzialità in strutture dedicate hanno, sia in questi casi che in quelli già presenti dall’infanzia, un ruolo fondamentale.
I ragazzi con disabilità intellettiva, inoltre, invecchiano e oggi, a differenza di alcuni decenni fa, hanno una prognosi di vita normale; col tempo però c’è il venir meno dell’assistenza dei genitori, il loro principale supporto, il peggioramento delle condizioni cliniche per ridotta capacità di regolare bene la propria salute e tanti elementi psicologici da gestire, come il sentirsi soli, non essere riusciti ad avere una vita coniugale o semplicemente il chiedersi ‘perché è capitato proprio a me’, che in termini clinici viene definita la consapevolezza del danno da parte del malato” dichiara Mansi.
Cos’è l’ autismo
“Anche l’autismo è un disturbo del neurosviluppo, una malattia complessa, la cui causa non è
ancora chiara e le cui ipotesi più diffuse fanno riferimento a fattori genetici o ambientali non ancora ben definiti - spiega lo specialista - . È caratterizzato da un disordine dello sviluppo che interessa l’abilità di comunicare idee, emozioni e sentimenti e da un deficit di integrazione sociale”.
Le tipologie di autismo
Non esistono forme univoche di autismo, ogni persona autistica è diversa dalle altre, per questo si
parla di ‘spettro autistico’, cioè una fascia di tipologie di autismo che fa riferimento a un:
- basso funzionamento: soggetti con una disabilità intellettiva;
- alto funzionamento, detto anche Sindrome di Asperger, in cui il soggetto ha capacità intellettive molto elevate e, a volte, molto particolari e settoriali.
È un'evoluzione atipica del neurosviluppo che viene raccontata in molte serie tv, cartoni animati e film e, a soffrirne sono anche personaggi famosi come Greta Thunberg, Susanna Tamaro e Andy Warhol.
I sintomi
Solitamente i primi segnali arrivano dalla famiglia, successivamente dal pediatra e dagli insegnanti. I
segni più evidenti sono:
- problemi nel linguaggio;
- chiusura affettiva;
- scarso interesse per gli altri bambini;
- ridotto interesse nei confronti del mondo esterno;
- comportamenti ripetitivi, stereotipati.
“Queste manifestazioni non si presentano contemporaneamente, dipende dalla gravità del problema.
Un segnale importante è anche la tenuta dello sguardo: il bambino autistico tende a non guardare negli occhi il proprio interlocutore e limita ogni forma di comunicazione. Una volta intercettate queste
manifestazioni vengono effettuati test specifici per confermare il sospetto di autismo e indirizzare il ragazzo a trattamenti mirati”, aggiunge l’esperto.
La diagnosi di autismo da adulti
È possibile crescere e diventare adulti senza sapere di essere autistici?
“Sì, specie nelle forme ad alto funzionamento - continua lo psichiatra - può capitare quando i soggetti si sottraggono alle diagnosi, nel senso che sono persone bizzarre, solitarie, che vivono da sole e che si tengono ai margini della vita sociale.
In molti casi lo specialista se ne accorge perché è in atto uno stato depressivo o rileva una storia infantile di isolamento sociale con caratteristiche di vita particolari o ancora individua un malessere fisico che non riesce a inquadrare diagnosticamente”.
L’importanza dell’orgoglio autistico
Oggigiorno, grazie ai numerosi gruppi e associazioni, la persona che soffre di autismo riesce a
riconoscersi, a non vergognarsi e a non nascondere il disturbo. Sono nati, infatti, veri e propri movimenti
che vogliono valorizzare la ‘Neurodiversità’ e si interessano alla promozione dei diritti e a prevenire la discriminazione nei confronti di persone neurologicamente diverse. Questi nuovi movimenti portano molte persone autistiche a vivere bene e con orgoglio la propria diversità.
“Se invece questa condizione diventa dolorosa, può essere utile accedere a un programma di psicoterapia in centri specializzati, con interventi multidisciplinari” conclude Mansi.