Il problema della senescenza cellulare: dall’invecchiamento alla terapia genica?

PUBBLICATO IL 24 SETTEMBRE 2021

Il meccanismo di senescenza cellulare, che impedisce alle cellule di replicarsi e proliferare, è fondamentale per difenderci dai tumori, ma è implicato nelle malattie dell’invecchiamento e potrebbe rendere meno efficaci i protocolli di terapia genica. Ecco perché dobbiamo studiarlo

 

Nel corso di una giornata, nel corpo di una persona adulta, miliardi di cellule finiscono il loro ciclo di vita. Per fortuna, queste cellule morte vengono prontamente sostituite. A garantire questo continuo ed efficiente processo di rigenerazione dei tessuti sono proprio le cellule staminali, che si dividono e differenziamo continuamente per produrre nuove cellule.

Non si tratta però di una sorgente infinita: nel 1961 due scienziati americani scoprirono che le cellule umane (nel loro esperimento i fibroblasti, i progenitori delle cellule della pelle) potevano dividersi un numero finito di volte, dopodiché entravano in uno stato di arresto della duplicazione che gli scienziati chiamarono ‘senescenza’.

Da allora, l’interesse nel fenomeno della senescenza cellulare è cresciuto. Oggi, infatti, sappiamo che:

  •  le cellule in questo stato si accumulano nei tessuti nel corso della vita, giocando un ruolo chiave nel processo fisiologico dell’invecchiamento e nelle malattie legate all’avanzare dell’età
  • lo stato di senescenza cellulare può essere attivato indipendentemente dall’età, se la cellula si trova in situazioni di stress particolari

Comprendere meglio questo meccanismo e capire cosa lo scatena è fondamentale per: 

  • combattere le malattie dell’invecchiamento e allungare l’aspettativa di vita;
  • migliorare i protocolli di terapia genica, che sottopongono le cellule trattate a intense condizioni di stress. 

Ne parliamo con Raffaella Di Micco, responsabile di un gruppo di ricerca dedicato alla senescenza cellulare dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget). In collaborazione con Eugenio Montini, responsabile dell’unità di sicurezza del trasferimento genico di SR-Tiget, Di Micco ha firmato un recente studio su Nature Communications che svela il ruolo della senescenza delle cellule del sangue in alcune rare malattie infiammatorie.

 

L’azione protettiva della senescenza cellulare

Nonostante la senescenza cellulare svolga con ogni probabilità un ruolo chiave nel processo di invecchiamento e sia implicato in molte malattie che caratterizzano l’età avanzata, il meccanismo ha in realtà una funzione fisiologica fondamentale.

“Il fatto che a fronte di condizioni di stress o di anomalie funzionali, come l’attivazione di geni tumorali o la presenza di danni al DNA, le cellule entrino in uno stato di senescenza ha una funzione protettiva dell’organismo - spiega Di Micco -. Attraverso l’interruzione della duplicazione si impedisce, infatti, la proliferazione di cellule potenzialmente pericolose. Non solo, ma le cellule senescenti inviano una serie di segnali infiammatori che richiamano il sistema immunitario e facilitano la loro eliminazione.”

Nello studio apparso su Nature Communications, i ricercatori osservano questo comportamento onco-protettivo in un modello animale: è sufficiente l’attivazione di un oncogene tumorale (BRAF-V600E) nelle cellule del sistema immunitario per produrre l’arresto della loro replicazione e avviare il programma di senescenza.

Ma se lo scopo della senescenza cellulare è difenderci dai tumori, perché finisce per contribuire all’invecchiamento dell’organismo, creando il contesto per l’emergere di malattie infiammatorie e tumorali tipiche dell’età avanzata?

 “Non abbiamo ancora una risposta esaustiva a questa domanda, ma non si tratta di una novità: meccanismi cellulari protettivi nel breve periodo, selezionati dall’evoluzione per mantenerci in salute durante la fase riproduttiva, possono diventare disfunzionali a lungo termine - spiega Di Micco -. 

Quello che succede invecchiando è il progressivo accumulo di cellule senescenti, che non vengono più eliminate con efficienza nei tessuti dell’organismo. Come conseguenza, i tessuti non riescono più a rigenerarsi ed entrano in uno stato di infiammazione cronico a cui le cellule senescenti contribuiscono attivamente.” 

 

I segnali infiammatori delle cellule senescenti

Come già accennato, infatti, le cellule in stato di senescenza non si limitano a bloccare i loro processi duplicativi, ma iniziano a produrre una serie di segnali chimici specifici, per lo più di tipo infiammatorio. Questi segnali di allarme servono anche per richiamare il sistema immunitario e portare alla loro eliminazione, ma se fuori controllo possono produrre situazioni patologiche, di cui l’invecchiamento è un esempio cronico.

Nello studio, Di Micco e collaboratori dimostrano che i segnali infiammatori rilasciati dalle cellule senescenti che contengono l’oncogene sono in grado di indurre comportamenti senescenti anche nelle cellule sane vicine, sebbene queste non contenessero l’oncogene. La capacità di influenzare altre cellule verso comportamenti senescenti e quindi infiammatori può essere molto pericoloso. 

“I risultati che abbiamo ottenuto nel nostro modello potrebbero spiegare quello che si osserva in alcune condizioni patologiche come l’istiocitosi, una rara malattia tumorale-infiammatoria caratterizzata dalla presenza dello stesso oncogene usato nei nostri esperimenti - spiega Di Micco -. Anche in questo caso si verifica una sorta di ‘contagio comportamentale’: nelle lesioni prodotte dalla malattia, le cellule mutate sono praticamente indistinguibili da quelle non mutate”.

 

La senescenza cellulare nella terapia genica

Il fatto che, se sottoposte a stress, le cellule possano diventare senescenti e produrre segnali in grado di influenzare in senso patologico il comportamento di cellule sane vicine è particolarmente rilevante per chi, come i medici e gli scienziati di SR-Tiget, si occupa di terapia genica. 

“I protocolli di terapia genica prevedono infatti la manipolazione delle cellule malate del paziente attraverso l’uso di vettori virali, che inseriscono al loro interno una copia del gene terapeutico - spiega Eugenio Montini, che in SR-Tiget si occupa di mettere a punto protocolli terapeutici sempre più efficaci e sicuri -. Questa correzione è fondamentale per ristabilire il corretto funzionamento delle cellule, ma allo stesso tempo le sottopone a uno stress notevole, perché interviene nella parte più delicata e protetta della cellula, il suo materiale genetico. 

La buona notizia è che i nostri risultati mostrano che l’effetto nocivo delle cellule senescenti nel nostro modello può essere significativamente ridotto antagonizzando l’attività pro infiammatoria del fattore di necrosi tumorale α.

L’ipotesi della Dott.ssa Di Micco è che i meccanismi di senescenza prodotti dalla manipolazione delle cellule possano renderle meno capaci di proliferare, riducendo così l’efficacia terapeutica dell’intervento, che dipende proprio dalla capacità delle cellule reinfuse nel paziente di ripopolare il midollo osseo e il tessuto sanguigno.

Ecco perché comprendere meglio la senescenza cellulare e le molecole in grado di contrastarne gli effetti potrebbero aiutarci a migliorare i protocolli di terapia genica: per farlo, la ricercatrice ha ottenuto lo scorso anno due importanti finanziamenti, dall’European Research Council e dalla New York Stem cell Foundation.

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