Sostituzione di protesi dell’anca: tecniche mininvasive e recupero più rapido con il Fast Track dell’Istituto di Cura Città Pavia

PUBBLICATO IL 08 SETTEMBRE 2020

L’ospedale pavese propone un protocollo di intervento chirurgico che mira a ridurre invasività e il ‘discomfort’ nell’intervento di sostituzione della protesi d’anca.

Lo sviluppo delle metodiche “mini-invasive” risale all’inizio degli anni 2000, in risposta ad una precisa richiesta dei pazienti: effettuare interventi di sostituzione protesica dell’anca riducendo le dimensioni del taglio.

Come spiega il dott. Emanuele Caldarella, Responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia Mininvasiva Ortopedica dell’Istituto di Cura Città di Pavia: “Non si può e non si deve identificare la ‘mini invasività’ con le piccole dimensioni del taglio. Dal punto di vista chirurgico è di fondamentale importanza adottare metodiche di risparmio tissutale che riducano la reale invasività della procedura, indipendentemente dalle dimensioni del taglio.

La nostra U.O. impegnata nella ricerca continua della minor invasività in ambito protesico – continua lo specialista-  ci ha portato ad elaborare un cosiddetto protocollo ‘FAST TRACK’ che mira a ridurre ogni elemento di possibile invasività e ‘discomfort’ nei confronti del paziente, riducendo al tempo stesso la cosiddetta ‘percezione di malattia’ legata all’ospedalizzazione ed al percorso chirurgico”.

I vantaggi del protocollo 

Approfondisce lo specialista: “Gli obiettivi del nostro protocollo FAST TRACK sono:

  • RIDUZIONE delle tempistiche di preparazione all’intervento, concentrando tutti gli accertamenti in un’unica mezza giornata di prericovero;
  • EVITAMENTO del catetere vescicale e del clistere, grazie a tecniche anestesiologiche avanzate;
  • RIDUZIONE dei tempi chirurgici, grazie all’impiego di strumenti informatici di pianificazione preoperatoria;
  • UTILIZZO di tecniche chirurgiche a risparmio tissutale, a rispetto funzionale e anatomico (cosiddette tecniche “mini invasive”);
  • EVITAMENTO delle trasfusioni di sangue da donatore, e dell’uso dei drenaggi grazie a tecniche chirurgiche e anestesiologiche dedicate (femur first nell’anca, riduzione dei tempi chirurgici, utilizzo dell’acido tranexamico);
  • RIDUZIONE del dolore postoperatorio grazie all’utilizzo di metodiche di anestesia locoregionale postoperatoria;
  • MOBILIZZAZIONE IMMEDIATA del paziente, che può camminare il giorno stesso dell’intervento, riducendo a poche ore l’immobilizzazione a letto postoperatoria;
  • EVITAMENTO di calze elastiche, iniezioni eparina e punti cutanei in favore di approcci farmacologici per bocca e suture a base di colle medicali che non richiedono la rimozione;
  • RIDUZIONE dei tempi di ospedalizzazione, rendendo il paziente idoneo alla dimissione già a 72 ore dall’intervento (3 notti di ricovero);
  • PROCEDURE BILATERALI IN SIMULTANEA quando indicato.

Questi risultati, impensabili applicando i protocolli classici di ospedalizzazione, sono possibili grazie alla capillare organizzazione del lavoro, all’ adeguata informazione e formazione del paziente e alla rigorosa applicazione delle opportune tecniche chirurgiche, riabilitative e anestesiologiche”.

La formazione del paziente

“Se idoneo al protocollo Fast Track - spiega il dott. Caldarella -, il paziente viene reclutato e informato degli obiettivi che dovranno essere condivisi da lui e dai suoi familiari. Il paziente potrà iniziare un percorso fisioterapico preoperatorio, in maniera da prepararsi adeguatamente all’intervento. Verrà formato un familiare ‘caregiver’ che avrà il compito di aiutare il paziente nel suo percorso”.

L’anestesia 

“L’obiettivo -  spiega il dott. Marco Antonio fondi, anestesista dell’equipe -  è quello di ottenere da una parte una condizione di anestesia  intraoperatoria ottimale e dall’altra un veloce recupero del benessere e delle funzioni basali del paziente, il quale nei casi migliori potrà essere mobilizzato, sottoposto a fisioterapia, seduto in poltrona ed alimentato per via orale già dopo 6 ore dal termine dell’intervento.”

“Complessivamente - prosegue il dott. Fondi  - la tecnica anestesiologica prevede di base una anestesia spinale subaracnoidea, accompagnata da una sedazione più o meno profonda a seconda della richiesta del paziente, associata ad una analgesia multimodale intra e postoperatoria (cioè all’utilizzo di diversi tipi e classi di farmaci analgesici in combinazione),  ed infine associata a blocchi nervosi analgesici postoperatori prevalentemente sensitivi eseguiti al termine dell’intervento”.

Che cos’è l’anestesia spinale subaracnoidea

“L’anestesia spinale subaracnoidea - approfondisce lo specialista - è una tecnica semplice, sicura ed efficace, che produce completa e profonda insensibilità degli arti inferiori ed ottime condizioni chirurgiche.  Rispetto all’anestesia generale, l’anestesia spinale offre alcuni vantaggi importanti, quali: 

  • la riduzione della durata dell’intervento; 
  • la riduzione del sanguinamento intraoperatorio e della necessità di trasfusioni;
  • una ridotta incidenza di trombosi venosa profonda; 
  • un migliore controllo del  dolore postoperatorio precoce. 

Per tutti questi motivi l’anestesia spinale subaracnoidea risulta l’anestesia di scelta rispetto all’anestesia generale.”  

La tecnica chirurgica spiegata dal dott. Caldarella

“Per ridurre le tempistiche operatorie è importante disporre di strumenti informatici di pianificazione  preoperatoria che consentano di effettuare tutta la fase preliminare prima di iniziare l’intervento. 

Una corretta pianificazione mira a: 

  • predeterminare nell’anca la corretta ricostruzione dei rapporti articolari, dell’offset e della lunghezza degli arti. 

  • predeterminare nel ginocchio l’entità delle resezioni ossee e la ricostruzione degli assi di carico dell’arto

Inoltre una corretta pianificazione è in grado di consentire la scelta del tipo di impianto e della sua taglia prima ancora di iniziare la procedura”.

Impiego di impianti mininvasivi e tecniche di risparmio tissutale

“Quando possibile - continua il dottore -, sarà privilegiato l’impiego di impianti ‘mini invasivi’, cioè: 

  •  protesi a stelo corto nell’anca; 

  • protesi monocompartimentali’ nel ginocchio, che consentono di ridurre notevolmente l’invasività dell’insulto chirurgico.

Verranno utilizzate tecniche volte al risparmio tissutale e all’ottimizzazione funzionale, in particolare: 

  • vie d’accesso all’anca ‘mini invasive che rispettano la muscolatura (come la via anteriore o la via posterolaterale);

  • tecniche di ‘allineamento cinematico’ al ginocchio che velocizzano il recupero e riducano la sensazione di instabilità”.

Il sanguinamento viene ridotto riducendo i tempi chirurgici ed effettuando alcune tecniche specifiche: 

  • il “femur first” nell’anca; 
  • l’evitamento dell’allineamento endomidollare nel ginocchio; 
  • l’utilizzo di agenti emostatici locali.

All’intervento segue un’accurata plastica ricostruttiva dei tessuti,  e la sutura cutanea viene eseguita con collanti che non richiedono la successiva rimozione, evitando così l’utilizzo dei classici “punti”.

Quando il paziente è candidato ad effettuare più di un intervento (ad esempio protesi anca destra e sinistra), grazie alla riduzione di invasività della singola procedura, si può procedere ad intervento multiplo in contemporanea, evitando così di sottoporre il paziente ad un successivo secondo ricovero.”

La riabilitazione

Grazie alle tecniche anestesiologiche e chirurgiche descritte, la riabilitazione può iniziare immediatamente

“Non appena termina l’effetto dell’anestesia spinale – spiega il dott. Caldarella - il paziente viene invitato ad alzarsi e a percorrere qualche passo. La mobilizzazione immediata svolge un effetto benefico sull’organismo, stimolando la ripresa della diuresi e della motilità intestinale, e riducendo il rischio dei capogiri che si possono presentare rialzandosi dal letto a seguito di un allettamento prolungato.

In prima giornata il paziente verrà istruito sulle tecniche  di base di recupero della propria autonomia personale (spostamenti letto-poltrona, igiene personale, muoversi in camera, lavarsi, deambulare con il girello). 

In seconda giornata, viene educato all’uso delle stampelle e imparare alcuni esercizi riabilitativi. 

In terza giornata, completa il programma degli esercizi riabilitativi e impara tecniche avanzate di recupero dell’autonomia (ad esempio fare le scale).

A questo punto il paziente è giudicato idoneo alla dimissione.

Il successo di un percorso FAST TRACK

Naturalmente questo protocollo, sebbene sia applicabile in ogni sua parte per la maggior parte dei pazienti, può  anche essere adattato a ciascun paziente sulla base delle proprie esigenze e delle proprie condizioni generali. Un paziente molto fragile e anziano, ad esempio, potrebbe beneficiare grandemente delle tecniche anestesiologiche mini invasive e dall’allettamento ridotto, ma magari non sarà candidabile ad una dimissione al domicilio a sole 72 ore dall’intervento. In questo caso si opterà per un ricovero riabilitativo più prolungato.

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