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Fentanyl: che cos’è e cosa bisogna sapere

PUBBLICATO IL 01 LUGLIO 2025

Il Fentanyl è un oppioide sintetico estremamente potente, nato come farmaco analgesico per il trattamento del dolore, ma oggi tristemente noto per l’abuso che se ne fa, soprattutto in alcuni paesi come gli Stati Uniti, dove ha causato decine di migliaia di decessi per overdose

In Italia, fortunatamente, la sua diffusione come sostanza d’abuso è ancora contenuta, ma gli operatori della salute mentale e delle dipendenze restano in allerta. 

Ne parliamo con il dott. Massimiliano Dieci, psichiatra e responsabile dell’Unità operativa di Riabilitazione Psichiatrica e di ZucchiMental Care, Degenze Specializzate in cure psichiatriche e dipendenze presso gli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza

Il dottore ci guida a comprendere meglio: 

  • che cos’è il Fentanyl
  • come agisce sul cervello
  • quali sono le strategie terapeutiche più efficaci per affrontare una dipendenza da oppioidi.

 

Cos'è il Fentanyl

Il Fentanyl è un oppioide sintetico che viene creato in laboratorio, a differenza della morfina o dell’eroina, che si ricavano dall’oppio. 

La sua potenza è spaventosa: fino a 100 volte più forte della morfina e 50 volte dell’eroina. 

È in commercio dagli anni ‘60 ed è usato legittimamente da medici esperti, in particolare anestesisti: 

  • per trattare il dolore oncologico o post-operatorio;
  • in alcune procedure di anestesia.

“Il problema sorge quando il Fentanyl viene usato come sostanza d’abuso: bastano poche dosi per creare dipendenza e il rischio di overdose è altissimo”, dichiara Dieci.

 

Perché è così pericoloso: gli effetti collaterali del Fentanyl

“Il Fentanyl agisce rapidamente sul sistema nervoso centrale, stimolando i recettori oppioidi presenti naturalmente nel nostro cervello, progettati per rispondere a sostanze endogene, cioè sostanze biologiche generate direttamente dal nostro organismo, che regolano il dolore e il benessere. 

Ma il Fentanyl, come tutti gli oppioidi esogeni, sovrastimola questi recettori con una potenza ben oltre quella fisiologica.

All’inizio, una singola assunzione può provocare euforia e benessere intensi, ma in brevissimo tempo si sviluppa tolleranza: servono dosi sempre maggiori per ottenere lo stesso effetto. 

Quando l’effetto passa, subentrano sintomi di astinenza devastanti: nausea, crampi, ansia, diarrea, brividi, fino a un malessere talmente profondo da portare la persona a cercare disperatamente un'altra dose solo per non stare male”.

È un meccanismo di dipendenza totale, in cui la sostanza diventa l’unico scopo della giornata. Il Fentanyl non viene più usato per piacere, ma per evitare la sofferenza. Le persone smettono di lavorare, perdono relazioni, si isolano e arrivano a mettere in atto comportamenti criminosi pur di procurarsi la sostanza.

“Nei casi di overdose, il Fentanyl provoca un arresto respiratorio. L’antidoto normalmente usato per gli oppioidi, il Naloxone, funziona poco con il Fentanyl, e ciò rende il trattamento di chi va in overdose ancora più difficile”.

 

Una crisi globale (e una minaccia anche per l’Italia)

Nel 2023, negli Stati Uniti, oltre 100.000 persone sono morte per overdose da Fentanyl. In Italia, al momento, non si parla di un’epidemia, ma la preoccupazione tra gli operatori è alta. 

Il Fentanyl è prodotto illegalmente in laboratori clandestini, anche in Europa, e arriva sul mercato in modo camuffato, spesso mescolato ad altre droghe o venduto come sostanza diversa, aumentando il rischio per chi ne fa uso.

I soggetti più a rischio sono:

  • giovani;
  • persone con problemi psichiatrici;
  • chi ha già una dipendenza da altre sostanze;
  • chi inizia a usarlo come farmaco, ma poi ne perde il controllo;
  • fasce sociali più vulnerabili.

 

Come si cura una dipendenza da Fentanyl

Affrontare una dipendenza da oppioidi, soprattutto da Fentanyl, è estremamente complesso e richiede un percorso integrato, medico e psicologico.

“La prima cosa da fare è interrompere l’assunzione — spiega il dott. Dieci — e da soli non ce la si fa. 

Serve spesso un ricovero in un ambiente protetto, in cui avviare una detossificazione (detox) con l’aiuto di farmaci agonisti, come il metadone o la buprenorfina, che agiscono sui recettori oppioidi in modo più controllato e sicuro”.

Questa fase iniziale dura qualche giorno, ma può essere molto dura: la sintomatologia astinenziale è fortissima, e anche in ambienti specializzati non è raro che i pazienti abbandonino il trattamento dopo pochi giorni.

Dopo la fase acuta, è essenziale avviare una terapia di mantenimento, che può includere l’uso prolungato di agonisti parziali per stabilizzare la persona e ridurre le ricadute. Ma questo non basta.

Serve un percorso psicologico e riabilitativo, individuale e di gruppo, per lavorare sulle cause profonde della dipendenza, ricostruire una rete sociale e relazionale e imparare nuove strategie per gestire il disagio psicologico.

“Molto spesso, infatti, chi sviluppa una dipendenza da oppioidi soffre anche di altri disturbi psichiatrici, come disturbi dell’umore, disturbi di personalità o ansia. Inoltre, l’uso di sostanze può a sua volta generare sintomi psichiatrici. Un’accurata diagnosi e presa in carico multidisciplinare è quindi fondamentale”.

L’utilizzo della Stimolazione Magnetica Transcranica

Tra le nuove opzioni terapeutiche, anche la Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS) si sta rivelando utile nel trattamento delle dipendenze. 

“Sebbene le evidenze più consolidate siano per la dipendenza da cocaina, sono in corso protocolli sperimentali anche per gli oppioidi.

La TMS non si usa in fase acuta — precisa il dott. Dieci —, ma può essere un valido supporto in fase di mantenimento, per modulare l’attività cerebrale e ridurre il craving, cioè il desiderio compulsivo di assumere la sostanza”.

 

Dipendenze: il cambiamento passa dalla motivazione e da un percorso strutturato

L’uso non terapeutico di Fentanyl e altri oppiacei in Italia è fortunatamente contenuto rispetto ad altri Paesi, ma i segnali di allarme non mancano e richiedono attenzione. 

“La rete dei servizi per le dipendenze e la salute mentale, diffusa capillarmente sul territorio, permette di intercettare precocemente i casi e attivare percorsi di presa in carico. È un ambito complesso, che richiede competenze cliniche specifiche, capacità di ascolto e un forte investimento relazionale. 

Fondamentale, in ogni percorso, è la motivazione della persona a cambiare: solo quando si costruisce un’alleanza terapeutica solida, è possibile accompagnare davvero chi soffre verso un cambiamento possibile”, conclude Dieci.

Cura e Prevenzione