Cos’è l’epitrocleite e come si cura

PUBBLICATO IL 04 DICEMBRE 2023

Per epitrocleite, o gomito del golfista, si intende quel processo infiammatorio a carico dell’inserzione dei muscoli flessori dell’avambraccio sull’epitroclea, prominenza ossea che si trova nella parte interna del gomito. Proprio in questo punto, si inseriscono i flessori che sono quelli che fanno flettere il polso.

La cronicizzazione di questa infiammazione porta successivamente a un dolore cronico e alla formazione di calcificazioni proprio a livello di questa inserzione tendinea, come avviene anche nell’epicondilite.

Per questo è importante, soprattutto nell’ambito sportivo, rivolgersi a un buon specialista della mano per una corretta diagnosi e per imparare a contrastarla e prevenirla. Ce ne parla il dottor Enzo Massimo Caruso, co-responsabile del Centro di Chirurgia della Mano all’Istituto Clinico San Siro.

 

Epitrocleite o Epicondilite: le differenze

Come detto, il gomito può essere soggetto a 2 tipi di infiammazione: l’epicondilite e l’epitrocleite. Ma cosa le distingue?

“L’epicondilite, detta anche gomito del tennista – spiega il dr. Caruso -, si localizza sulla parte esterna del gomito dove si inseriscono i tendini estensori ed è l’opposto rispetto alll’epitrocleite che, invece, interessa tutta la parte interna del gomito. Sono quindi movimenti differenti. 

Mentre l’epicondilite è più tipica del tennista, perché ha una gestualità di maggiore estensione del gomito, l’epitrocleite si manifesta più frequentemente nei golfisti, anche se viene osservata soprattutto in coloro che fanno sollevamento di pesi e nei lavoratori manuali come, ad esempio, gli addetti alle pulizie o che implicano una gestualità ripetitiva

È un disturbo che colpisce più di frequente i giovani rispetto agli anziani.”

 

Come si diagnostica l’epitrocleite

“La diagnosi di epitrocleite è clinica - continua -: lo specialista esercita pressione sull’epitroclea e se questa comincia a fare male, soprattutto nella mobilizzazione dei flessori del polso, ecco i primi campanelli di allarme della presenza di un’eventuale epitrocleite. 

Oltre all’esame clinico, è utile anche sottoporsi a esami strumentali, soprattutto se il primo approccio di cura non è stato soddisfacente. Tra questi:

  • ecografia, che aiuta per valutare la situazione a livello di muscoli e tendini;
  • radiografia, molto utile per escludere la presenza di calcificazioni (riscontrabili quando si cronicizza)”.

 

Come si tratta l’epitrocleite

“Il trattamento dell’epitrocleite è simile a quello che viene utilizzato per l’epicondilite. In una prima fase è indicato l’utilizzo del tutore, prescritto dallo specialista della mano, utile per togliere un po’ di tensione all’avambraccio: questo limita la trazione che esercitano i muscoli sull’epitroclea e riduce l’effetto traumatico del tendine che traziona sull’inserzione – afferma lo specialista -. 

Il tutore va utilizzato quando si è in attività, perché si è più a rischio di sviluppare infiammazione e dolore; è infatti molto utile nella prevenzione. 

Contestualmente ci sono gli antidolorifici e gli antinfiammatori che possono essere utilizzati sia per bocca, ma anche a livello topico. Siccome sia l’epitrocleite sia l’epicondilite sono patologie superficiali dove l’osso si colloca quasi sotto la pelle, è molto utile utilizzare, per esempio, anche cerotti che hanno al loro interno antinfiammatori o anestetici

Anche le terapie fisiche (es. tecar, laser) possono dare dei benefici da un punto di vista antinfiammatorio anche se temporanei. Tra le più efficaci vi sono le onde d’urto che hanno un duplice beneficio: 

  • prima vanno ad agire sull’inserzione tendinea sbriciolando le calcificazioni; 
  • in seguito vanno a rigenerare l’epitroclea grazie all’effetto di stimolazione dei tessuti riparativi. 

Di solito il ciclo è di 3 sedute, una alla settimana, eventualmente ripetibile con un secondo ciclo a breve termine, poi c’è uno stop e al bisogno nel giro di qualche mese si possono ripetere nuovamente.

Altre opzioni sono le infiltrazioni con steroidi che sono efficaci, ma spesso non risolutive: danno un beneficio temporaneo, ma, se non si rimuove la causa, i dolori possono ripresentarsi a distanza di tempo. Vanno usate con moderazione perché il cortisone a livello locale può provocare danni sul tessuto del tendine (es. necrosi), formare solchi o discromie cromatiche.

In rarissimi casi - conclude Caruso - si può ricorrere alla soluzione chirurgica per la quale si effettua una parziale disinserzione del gruppo dei tendini che si inseriscono sull’epitroclea al fine di diminuire la tensione e, in seguito, si praticano delle perforazioni con fili metallici nell’epitroclea per farla sanguinare e per ripristinare i tessuti”.

Cura e Prevenzione