Epicondilite al gomito: cos'è e quali sono i rimedi?

PUBBLICATO IL 24 MAGGIO 2022

L’epicondilite, detta anche ‘gomito del tennista’, è un’infiammazione che interessa, appunto, l’epicondilo ovvero la prominenza ossea che si trova a livello dell’omero e sulla quale si inseriscono i muscoli estensori dell’avambraccio e del polso. Questa infiammazione è dovuta a sollecitazioni ripetute della muscolatura che, con la trazione esercitata dai muscoli su questa inserzione ossea, determina uno stato di sofferenza dell’osso stesso e della porzione tendinea che si inserisce su di esso. 

È una patologia che coinvolge principalmente soggetti sportivi o che praticano attività manuali pesanti che implicano, appunto, movimenti continui di polso e gomito.

Cosa succede quando si infiamma? È sufficiente il trattamento conservativo o bisogna necessariamente ricorrere poi alla soluzione chirurgica? Ce ne parla il dottor Enzo Massimo Caruso, co-responsabile dell’Unità Operativa di Chirurgia della Mano all’Istituto Clinico San Siro.

 

Le cause

Ci spiega il dott. Caruso: “Le cause dell’epicondilite sono molteplici e includono tutte quelle attività che comportano l’utilizzo della muscolatura estensoria di polso e gomito come, ad esempio: 

  • attività sportive che coinvolgono il continuo utilizzo dell’arto superiore, come il golf o il tennis; 
  • attività lavorative manuali e ripetitive pesanti, come il sollevamento pesi (es. manovali); 
  • lavoro ripetitivo e di precisione che coinvolge soprattutto l’utilizzo dell’estensione del polso e del gomito.

Quando sforziamo la muscolatura estensoria dell’avambraccio e del polso, infatti, si esercita una reazione sull’epicondilo attraverso l’inserzione tendinea. Tale trazione provoca una sofferenza cronica dell’osso e dell’interazione tendinea che, a lungo o termine, può provocare fenomeni degenerativi e calcificazioni tendinee”. 

 

La diagnosi 

La diagnosi viene effettuata, in fase iniziale, attraverso un’indagine piuttosto semplice, ovvero l’ecografia che consente di osservare la: 

  • sofferenza muscolare; 
  • sofferenza dell’inserzione ossea. 

È un esame piuttosto affidabile seppur operatore-dipendente. 

In caso di persistenza dei sintomi o di situazioni particolarmente dolorose, è possibile anche ricorrere a una risonanza magnetica laddove si sospetta ci siano lesioni più complesse a livello del gomito. 

 

I trattamenti 

Una volta effettuata la diagnosi, si procede con il trattamento che deve essere soprattutto considerato ed effettuato per gradi. Questo può essere:

  • conservativo;
  • chirurgico. 

Il trattamento conservativo

“Nel primo caso - continua l’ortopedico - si parla di trattamenti semplici e meno invasivi che implicano l’utilizzo di un tutore a fascia che si posiziona a livello del 3° prossimale dell’avambraccio e ha lo scopo di stringere ed esercitare una compressione sulla muscolatura estensoria in modo da detendere la trazione che questi muscoli esercitano sull’epicondilo. 

Parallelamente al tutore, si utilizzano anche farmaci antinfiammatori sia per via generale sia per via topica come, ad esempio, i cerotti che possono essere posizionati direttamente sul punto dolente e che vengono lasciati per circa 12 ore per un ciclo di trattamento di circa 1 settimana. 

Oltre a questi presidi, si può ricorrere anche alle classiche terapie fisiche, utilizzando inizialmente e più frequentemente la tecar e il laser e, successivamente, anche le onde d’urto con un effetto più invasivo, più doloroso, ma sicuramente più efficace. Questo specialmente nel trattare le calcificazioni che avvengono in una fase più avanzata della patologia, quando l’infiammazione diventa cronica a livello della muscolatura inserzionale degli estensori sull’epicondilo. 

Quando queste terapie non sono più efficaci, è possibile ricorrere anche alle infiltrazioni che possono essere effettuate: 

  • con cortisone, in cicli di 2 o 3 infiltrazioni, 1 volta alla settimana; 
  • con PRP, cioè con derivati piastrinici prelevati dallo stesso paziente, che vengono poi trattati e reiniettati a livello dell’epicondilo con lo scopo di rigenerare i tessuti e curarli a livello della lesione”. 

Il trattamento chirurgico

Infine, esiste anche l’opzione chirurgica che viene riservata esclusivamente ai casi in cui tutti gli altri trattamenti si sono rivelati fallimentari. 

“Questa consiste nel detendere la muscolatura estensoria con piccole incisioni sul gruppo tendineo che si inserisce sull’epicondilo, attraverso perforazioni effettuate sull’osso allo scopo di rigenerare il tessuto sofferente - prosegue lo specialista -. 

L’intervento che dura circa 15-20 minuti: 

  • garantisce buoni risultati nella stragrande maggioranza dei casi; 
  • permette un rapido ritorno alle proprie attività (pur sempre con un occhio di riguardo verso alcuni movimenti!)”.

 

Come curare l’epicondilite con esercizi e prevenzione 

“Per quanto riguarda la prevenzione e gli esercizi, utili sia a livello curativo sia a livello preventivo, è di primaria importanza andare a rimuovere la causa dell’infiammazione, cioè cercare di capire quali sono i movimenti che provocano il dolore e che generano la patologia, cercando di evitarli, optando per movimenti alternativi - sottolinea l’esperto -. 

È il paziente che per primo si sente stimolato nel trovare movimenti di maggior comfort, così come effettuare esercizi preventivi come quelli di rinforzo della muscolatura sia estensoria sia flessoria, senza sollecitare eccessivamente gli estensori con relative estensioni del polso, che possono addirittura avere un effetto peggiorativo.

I soli esercizi possono curare soltanto se si è attenti nel comprendere e cercare di rimuovere i movimenti che sono la causa del dolore - conclude Caruso -. Nel caso, invece, di una degenerazione tale da sfociare in calcificazione, allora il trattamento da preferire deve essere più importante”.

Cura e Prevenzione