Cos’è e come si cura il linfoma non-Hodgkin

PUBBLICATO IL 26 OTTOBRE 2021

I linfomi non-Hodgkin includono un ampio ed eterogeneo gruppo di tumori che originano nel sistema linfatico, oggi sempre più curabili grazie ai progressi della ricerca

*(news aggornata 16 Novembre 2021)

I linfomi non-Hodgkin sono tumori che derivano da alterazioni genetiche o molecolari di alcune cellule del sistema immunitario, in particolare dei linfociti.

Nei pazienti affetti dalla malattia, queste cellule, invece di svolgere il loro compito di difesa, si replicano in modo anomalo e si accumulano negli organi che fanno parte del sistema linfatico, come milza, timo o linfonodi, dando origine a masse tumorali solide. 

È importante ricordare che questi tumori possono prendere origine in tutti gli organi del corpo umano, con importanti differenze nei sintomi e prognosi. 

I linfomi che rientrano nella categoria ‘non-Hodgkin’ sono molto eterogenei e si suddividono ulteriormente in sottotipi, il più diffuso è il linfoma a grandi cellule B, caratterizzati da una forte variabilità clinica e prognostica. Ecco perché anche gli approcci terapeutici possono essere molto diversi fra loro.

Scopriamo insieme quali sono le terapie a oggi disponibili e come procede la ricerca verso nuove cure con il dottor Andrés José María Ferreri, responsabile dell’Unità Linfomi dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, dove si incontrano cure d’eccellenza e ricerca clinica di frontiera.

 

L’incidenza dei linfomi non-Hodgkin

I linfomi non-Hodgkin colpiscono per il 95% la popolazione adulta e rappresenta in Italia il 3% di tutte le neoplasie. 

Gli ultimi dati a disposizione ci dicono che sono oltre 150.000 i pazienti in Italia affetti da questa tipologia di tumori, con oltre 7.000 diagnosi negli uomini e poco più di 6.100 nelle donne nel solo 2020, secondo il Registro dei Tumori AIRTUM.

Sebbene possano colpire a qualsiasi età, l’incidenza aumenta con l’anzianità, con un’età media alla diagnosi compresa tra i 50 e i 60 anni

 

I fattori di rischio

I meccanismi biologici all’origine dei linfomi non-Hodgkin sono ancora oggetto di studio. Come accade per tutti i tumori, esistono alcuni fattori di rischio da tenere in considerazione. Tra i fattori di rischio non modificabili ci sono:

  • l’età: il tumore è più comune dopo i 65 anni;
  • il sesso: in media gli uomini sono più a rischio delle donne, anche se si possono fare poi dei distinguo in base al tipo di linfoma non-Hodgkin.

Tra i fattori esterni che possono aumentare il rischio di malattia troviamo invece:

  • l’esposizione ad agenti chimici come insetticidi, erbicidi e benzene;
  • l’esposizione a radiazioni

A questi si aggiungono anche stati immunodepressivi, malattie autoimmuni, infezioni virali (come HIV o epatite C) o infezioni batteriche, come quella da Helicobacter pylori o da Chlamydia psittaci, che possono aumentare il rischio di ammalarsi di questo tipo di tumore.

 

I sintomi

Spesso agli stadi iniziali l’unico segno di questo tipo di tumore è rappresentato dall’ingrossamento indolore di un linfonodo nelle regioni:

  •  cervicale;
  •  ascellare;
  •  inguinale;
  •  femorale.

Alcuni sintomi sistemici possono essere:

  • febbre;
  • sudorazione notturna;
  • perdita di peso.

Altri sintomi o segni come prurito persistente, reazione alle punture di insetti, macchie nella cute, stanchezza, inappetenza e sanguinamento possono rappresentare anch’essi indicatori della presenza di un linfoma. Tuttavia, come detto sopra, i linfomi possono insorgere e/o coinvolgere ogni organo, quindi, i sintomi di riferimento sono molteplici, spesso subdoli. 

 

Come effettuare diagnosi del linfoma non-Hodgkin

La diagnosi di linfoma non-Hodgkin viene fatta esclusivamente attraverso analisi oggettive: generalmente si effettuano biopsie del linfonodo o dell’organo coinvolto che, in alcuni casi, vengono affiancate da biopsie del midollo osseo.

Ulteriori esami strumentali permettono ai medici di caratterizzare in maniera più precisa il tipo di malattia, ad esempio attraverso test molecolari

Una volta eseguita la diagnosi istologica, si procede alla stadiazione, vale a dire la definizione dello stadio di malattia, comunemente con:

  • la 18FDG-PET (tomografia ad emissione di positroni);
  • la TAC del collo, torace e addome con mezzo di contrasto;
  • la biopsia del midollo osseo. 

Radiografie, TC, risonanza magnetica ed ecografie vengono utilizzate invece per monitorare la malattia nel tempo e valutarne l’evoluzione.

“Più si approfondiscono le conoscenze in questo campo, anche nell’ambito della ricerca di base, e maggiormente siamo in grado di classificare in modo sempre più dettagliato le diverse forme di linfoma di non-Hodgkin. 

Ognuna di esse è caratterizzata da un quadro genetico-molecolare e istologico differente, a cui è legato un decorso della malattia diverso: ecco perché occorre valutare approcci terapeutici specifici” spiega Andrés J. M. Ferreri.

 

Le cure e le terapie attualmente disponibili

La terapia da intraprendere può essere molto diversa a seconda di numerosi fattori  come:

  •  la tipologia di linfoma;
  •  l’estensione della malattia;
  •  il tasso di crescita del tumore;
  •  l’età;
  •  le condizioni di salute del paziente.   

Le diverse modalità terapeutiche attualmente disponibili in centri di alta complessità, come l’Ospedale San Raffaele, sono: 

  • chemioterapia convenzionale; 
  • farmaci mirati (come gli inibitori delle chinasi);
  • immunoterapia umorale (come gli anticorpi monoclonali);
  • immunoterapia cellulare (come le CAR-T, trapianto allogenico);
  • anticorpi monoclonali bispecifici;
  • ADC (antibody-drug complex; complessi anticorpo-tossina);
  • immunomodulatori;
  • radioimmunoterapia;
  • radioterapia a fasci modulabili;
  • tomoterapia;
  • radioterapia stereotassica (gamma knife e cyber knife);
  • chirurgia dei diversi distretti anatomici (solo a scopo diagnostico o di palliazione).

Alcuni casi di linfomi indolenti, che presentano un andamento clinico più lento, possono non necessitare inizialmente di un trattamento, ma solo un attento monitoraggio, mentre nelle forme attive della malattia sono utilizzate le strategie sopraelencate singolarmente o in combinazione.

I linfomi aggressivi vengono trattati immediatamente dopo la diagnosi, spesso con la combinazione di agenti chemioterapici e anticorpi monoclonali

“Nel caso in cui il tumore non risponda alla terapia prevista o si ripresenti sotto forma di recidiva, è possibile ricorrere al trapianto di cellule staminali del sangue o, nel caso specifico del linfoma diffuso a grandi cellule B, a terapie innovative come le CAR-T anti-CD19 - spiega Andrés J. M. Ferreri -. 

Il San Raffaele è inoltre coinvolto in diverse sperimentazioni cliniche internazionali, che oltre a essere il passaggio fondamentale per l’immissione in commercio di nuove terapie, più efficaci, costituiscono delle opportunità uniche per i pazienti con le forme più aggressive e difficili da trattare.”

 

Le sperimentazioni cliniche sui linfomi non-Hodgkin al San Raffaele

Nonostante il progresso degli ultimi vent’anni infatti, resta ancora molto da fare per i pazienti che sono affetti da linfomi aggressivi o da alcuni sottotipi di linfoma considerati inguaribili. Ecco perché l’IRCCS Ospedale San Raffaele è impegnato in prima linea non solo nello studio della malattia in laboratorio, ma nel miglioramento delle cure attraverso la partecipazione a studi clinici con farmaci innovativi e terapie cellulari

In particolare, l’expertise dell’istituto è riconosciuta anche a livello internazionale per molti linfomi ‘extranodali’, aggressivi e indolenti, quali: 

  • i linfomi del sistema nervoso centrale;
  • i linfomi dell’occhio e l’orbita;
  • il linfoma testicolare, mediastinico, intravascolare, associati ad infezione da HIV; 
  • il linfoma di Burkitt;
  • il linfoma diffuso a grandi cellule B; 
  • il linfoma follicolare;
  • il linfoma della zona marginale; 
  • il linfoma a cellule mantellari; 
  • i linfomi a cellule T periferiche; 
  • la macroglobulinemia di Waldenström. 

L’Unità Linfomi del San Raffaele ha portato avanti alcune delle più grandi scoperte in questi linfomi e delineato così degli standard di cura seguiti in tutto il mondo. Grazie a queste attività il team guidato da Ferreri è riconosciuto a 9° posto, su oltre 120mila esperti, nella classifica di Expertscape come World Expert in Lymphoma.

Gli studi attivi presso l’Unità si concentrano su:

  • impiego di nuove molecole che inibiscono proteine chiave nella progressione di alcuni tipi di linfomi, come BCL-2 o BTK;
  • sperimentazione di immunomodulatori e anticorpi monoclonali

Questi ultimi permettono di interferire in modo mirato i recettori presenti sulle cellule tumorali o sulle cellule del sistema immunitario, rendendo il primo più visibile e suscettibile al secondo.

Le sperimentazioni per la terapia CAR-T

Infine, l’Unità è coinvolta nelle sperimentazioni per ampliare l’indicazione terapeutica delle CAR-T già approvate, come nel caso del trial clinico ELARA per l’impiego delle CAR-T anti-CD19 in pazienti con linfoma follicolare refrattario, o nello studio ZUMA-7 che ha determinato il ruolo delle CAR-T come terapia di salvataggio nei pazienti affetti da linfoma a grandi cellule B in prima recidiva

“Ovviamente - conclude il dott.Ferrei - l’eleggibilità dei pazienti ai diversi studi clinici dipende strettamente da tipo specifico di linfoma di cui sono affetti e dallo stadio della malattia; stato di salute del paziente, dalla sua età e dalla presenza di eventuali altre patologie”.

Cura e Prevenzione